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Assassinio in villa
Fiona Grace


ASSASSINIO IN VILLA (UN GIALLO INTIMO E LEGGERO DI LACEY DOYLE—LIBRO 1) è il romanzo di debutto di un’affascinante nuova serie di gialli intimi e leggeri scritti da Fiona Grace. Lacey Doyle Rose, 39 anni e fresca di divorzio, ha bisogno di un cambiamento drastico. Deve lasciare il suo lavoro, abbandonare il suo orrendo capo e la città di New York, allontanandosi da uno stile di vita frenetico. Rispettando la promessa che si era fatta da bambina, prende le distanze da tutto e da tutti, pronta a rivivere un’adorabile vacanza come quelle che faceva da bambina nella pittoresca cittadina balneare di Wilfordshire.Wilfordshire è proprio come Lacey se la ricorda: la sua architettura senza tempo, le strade di acciottolato e la natura fuori dalla porta di casa. Lacey non vuole più tornare indietro e decide spontaneamente di restare e di concedere un tentativo al suo sogno d’infanzia: aprire un suo negozio di antiquariato.Lacey finalmente ha l’impressione che la sua vita stia facendo un passo nella direzione giusta, fino a che il suo nuovo principale cliente non muore.Essendo nuova in città, tutti gli occhi sono puntati su Lacey, e sta a lei far capire chi è.Un’attività da gestire, un vicino della porta accanto che è suo avversario, un panettiere che le fa la corte dall’altra parte della strada e un crimine da risolvere: era proprio questa la nuova vita che aveva desiderato? Il libro #2 nella serie – UNA MORTE E UN CANE – è disponibile per pre-ordinazioni!







ASSASSINIO IN VILLA



(UN GIALLO INTIMO E LEGGERO DI LACEY DOYLE—LIBRO 1)



FIONA GRACE



VERSIONE ITALIANA

A CURA DI



ANNALISA LOVAT


Fiona Grace



La scrittrice debuttante Fiona Grace è l’autrice della serie di GIALLI INTIMI E LEGGERI DI LACEY DOYLE, che include ASSASSINIO IN VILLA (Libro #1), UNA MORTE E UN CANE (Libro #2) e CRIMINE AL BAR (Libro #3). Fiona sarebbe molto felice di sentirvi, quindi visitate www.fionagraceauthor.com (http://www.fionagraceauthor.com/) per ricevere ebook, sentire le ultime novità e restare in contatto con lei.






(https://www.bookbub.com/authors/fiona-grace)



Copyright © 2019 by Fiona Grace. All rights reserved. Except as permitted under the U.S. Copyright Act of 1976, no part of this publication may be reproduced, distributed or transmitted in any form or by any means, or stored in a database or retrieval system, without the prior permission of the author. This ebook is licensed for your personal enjoyment only. This ebook may not be re-sold or given away to other people. If you would like to share this book with another person, please purchase an additional copy for each recipient. If you’re reading this book and did not purchase it, or it was not purchased for your use only, then please return it and purchase your own copy. Thank you for respecting the hard work of this author. This is a work of fiction. Names, characters, businesses, organizations, places, events, and incidents either are the product of the author’s imagination or are used fictionally. Any resemblance to actual persons, living or dead, is entirely coincidental. Jacket image Copyright Helen Hotson, used under license from Shutterstock.com.


LIBRI DI FIONA GRACE



UN GIALLO INTIMO E LEGGERO DI LACEY DOYLE

ASSASSINIO IN VILLA (Libro #1)

UNA MORTE E UN CANE (Libro #2)

CRIMINE ALLA BAR (Libro #3)


INDICE



CAPITOLO UNO (#u09680f83-d6e8-51b7-8174-d6a67e16904b)

CAPITOLO DUE (#u7b077ce3-d356-557d-ae6a-bc2118eafb66)

CAPITOLO TRE (#u18b31c87-587a-5103-b75c-d0ff087939e0)

CAPITOLO QUATTRO (#uc27ab3f8-6845-5d79-8c51-df44cccc7b31)

CAPITOLO CINQUE (#u34991561-8e42-52de-8525-178e35de5099)

CAPITOLO SEI (#u22cf0fc1-b8d5-5d5e-a9ed-b380a3eda388)

CAPITOLO SETTE (#u4f742f1d-4363-52a7-aa1d-6b2705fc3b3d)

CAPITOLO OTTO (#litres_trial_promo)

CAPITOLO NOVE (#litres_trial_promo)

CAPITOLO DIECI (#litres_trial_promo)

CAPITOLO UNDICI (#litres_trial_promo)

CAPITOLO DODICI (#litres_trial_promo)

CAPITOLO TREDICI (#litres_trial_promo)

CAPITOLO QUATTORDICI (#litres_trial_promo)

CAPITOLO QUINDICI (#litres_trial_promo)

CAPITOLO SEDICI (#litres_trial_promo)

CAPITOLO DICIASSETTE (#litres_trial_promo)

CAPITOLO DICIOTTO (#litres_trial_promo)

CAPITOLO DICIANNOVE (#litres_trial_promo)

CAPITOLO VENTI (#litres_trial_promo)

CAPITOLO VENTUNO (#litres_trial_promo)

CAPITOLO VENTIDUE (#litres_trial_promo)

CAPITOLO VENTITRÉ (#litres_trial_promo)

CAPITOLO VENTIQUATTRO (#litres_trial_promo)

CAPITOLO VENTINCINQUE (#litres_trial_promo)

CAPITOLO VENTISEI (#litres_trial_promo)

CAPITOLO VENTISETTE (#litres_trial_promo)

CAPITOLO VENTOTTO (#litres_trial_promo)

EPILOGO (#litres_trial_promo)




CAPITOLO UNO


Senza addebito di colpa.

Questo stava scritto sulle carte del divorzio, stampato in grassetto. Una riga nera che spiccava sul bianco del foglio.

Senza addebito di colpa. Consensuale.

Lacey sospirò mentre scrutava i documenti. La cartellina apparentemente innocua le era appena stata consegnata a mano alla porta di casa da un ragazzino con il viso brufoloso e l’atteggiamento indifferente di chi consegna pizze a domicilio. E sebbene Lacey avesse immediatamente capito il motivo per cui stava ricevendo un pacco inviato tramite corriere espresso, in quel momento non aveva provato nulla. Poi si era lasciata cadere sul divano del salotto, dove il cappuccino che aveva posato sul tavolino quando avevano suonato alla porta stava ancora fumando, e aveva tirato fuori i documenti dalla busta. Solo allora qualcosa l’aveva colpita.

Le carte del divorzio.

Divorzio.

La sua reazione era stata di gridare e gettare i documenti a terra, come una persona che soffre di aracnofobia e vede una tarantola viva.

E adesso erano ancora lì, sparpagliati sul tappeto alla moda ed estremamente costoso che la sua titolare Saskia le aveva regalato alla ditta di arredamento d’interni dove lavorava. Le parole David Bishop contro Lacey Doyle la fissavano dal pavimento. Da quell’insensato ammasso di lettere, le parole iniziarono a prendere forma davanti ai suoi occhi: scioglimento del matrimonio, differenze inconciliabili, senza addebito di colpa…

Titubante, raccolse i fogli da terra.

Ovviamente non c’era nulla di cui sorprendersi. Dopotutto David aveva messo fine al loro matrimonio di quattordici anni esclamando: “Verrai contattata dal mio avvocato!”. Ma questo non era bastato a preparare Lacey al crollo emotivo che l’aveva assalita mentre teneva effettivamente in mano i documenti. Mentre sentiva il loro peso, la loro solidità. Mentre vedeva quell’orribile scritta nera in grassetto che dichiarava la loro mancanza di colpe.

Era così che si facevano le cose a New York: i divorzi consensuali erano meno incasinati, giusto? Ma �senza addebito di colpa’ era un po’ pomposo, per quello che ne pensava Lacey. Ad ogni modo, secondo David la colpa ce l’aveva tutta lei. Trentanove anni e nessun bambino. Neanche il minimo istinto di maternità. Nessuna impennata ormonale alla vista dei neo nascituri dei loro amici; e ce n’erano stati davvero tanti, una vera e propria ondata di piccoli esserini mollicci che non le suscitavano proprio nessun sentimento.

“Dovresti sentire il ticchettio dell’orologio,” le aveva spiegato David una sera, mentre bevevano un bicchiere di Merlot.

A dire il vero, quello che voleva realmente dire era che il loro matrimonio si era trasformato in una bomba a orologeria, e che era iniziato il conto alla rovescia.

Lacey si lasciò andare a un profondo sospiro. Se solo avesse saputo, quando l’aveva sposato a venticinque anni, in un glorioso vortice di coriandoli bianchi e bollicine di champagne, che la decisione di dare la priorità alla propria carriera rispetto alla maternità le si sarebbe ritorta contro con uno spettacolare calcio nel sedere.

Senza addebito di colpa. Ah!

Andò alla ricerca di una penna, le gambe e le braccia improvvisamente rigide come l’acciaio, e ne trovò una nel vasetto dove posava le chiavi. Almeno adesso le cose erano organizzate. Non più David che andava qua e là a cercare scarpe perse, chiavi perse, portafogli persi, occhiali da sole persi. In questi giorni, tutto si trovava dove lei l’aveva lasciato. Ma in questo momento la cosa non le stava offrendo un grosso senso di consolazione.

Tornò al divano con la penna in mano e la posizionò sulla linea tratteggiata dove avrebbe dovuto apporre la sua firma. Ma invece di toccare la carta con la punta, Lacey esitò, la penna sospesa sul foglio, praticamente a un millimetro dalla linea, come se ci fosse una qualche barriera invisibile tra la biro e la carta. Le parole “clausola di assistenza coniugale” avevano attirato la sua attenzione.

Lacey corrugò la fronte e voltò le pagine fino ad arrivare alla clausola in questione. In quanto componente della coppia con lo stipendio più alto, oltre a unica proprietaria dell’appartamento nella Upper Eastside in cui si trovava anche ora, Lacey era tenuta a pagare a David una “somma fissa” per “non più di due anni” in modo che lui si “sistemasse” nella sua nuova vita in una “maniera coerente con quella a cui era abituato prima.”

Lacey non poté trattenere una mesta risata. Era proprio ironico che David approfittasse della sua carriera, proprio l’elemento che aveva posto fine al loro matrimonio! Ovviamente lui non la vedeva a quel modo. David l’avrebbe definita più una �ricompensa’. Era un fissato dell’equilibrio e delle cose bilanciate ed esatte. Ma Lacey sapeva cos’erano davvero quei soldi. Punizione. Vendetta. Ritorsione.

Come prendersela nel sedere due volte, pensГІ.

All’improvviso le si annebbiò la vista e una chiazza apparve sul suo cognome, distorcendo l’inchiostro e raggrinzano la carta. Una lacrima di rabbia le era caduta da un occhio. Lacey si asciugò con impeto usando il dorso della mano.

DovrГІ cambiare nome, pensГІ mentre fissava la parola ora deformata. Tornare al mio nome da signorina.

Lacey Fay Bishop non esisteva più. Cancellata. Quel nome apparteneva alla moglie di David Bishop, e non appena lei avesse firmato sulla linea tratteggiata, quella donna non sarebbe più stata lei. Sarebbe tornata ad essere Lacey Fay Doyle, una ragazza che non le apparteneva da quando aveva poco più di vent’anni e che addirittura ricordava a malapena.

Ma il nome Doyle significava per Lacey ancora meno di quello che aveva avuto in prestito da David negli ultimi quattordici anni. Suo padre se n’era andato quando lei aveva sette anni, subito dopo una vacanza di famiglia che era stata per il resto idilliaca nella cittadina balneare di Wilfordshire, in Inghilterra. Da allora non l’aveva più visto. Un giorno era lì a mangiare gelato su una spiaggia aspra, selvaggia e battuta dal vento, e il giorno dopo non c’era più.

E adesso lei era un fallimento allo stesso livello dei suoi genitori! Dopo tutte quelle lacrime di bambina che aveva versato per la mancanza del padre, tutti quei furenti insulti da adolescente che aveva scagliato contro sua madre, non aveva fatto altro che ripetere lo stesso preciso errore! Aveva fallito nel matrimonio, proprio come loro. L’unica differenza, le venne in mente, era che il suo fallimento non aveva danni collaterali. Il suo divorzio non avrebbe lasciato sulla propria scia due figlie distrutte e ferite.

RiabbassГІ lo sguardo sulla linea. Le stava chiedendo di firmare. Eppure Lacey esitava.

Magari abbandono il cognome di punto in bianco, pensò nervosamente. Potrei essere Lacey Fay, come una specie di pop star. Sentì una scoppiettante sensazione di isteria salirle nel petto. Ma poi perché fermarsi? Con una manciata di dollari potrei cambiare il mio nome in tutti quello che voglio. Potrei essere… Si guardò attorno alla ricerca di ispirazione nella stanza e gli occhi le si posarono sulla tazza di caffè ancora intatta sul tavolino che aveva davanti: Lacey Fay Cappuccino. Perché no? Principessa Lacey Fay Cappuccino!

A quel punto scoppiò a ridere, gettando indietro la testa e tutti i suoi luccicanti riccioli scuri, lanciando le sue fragorose risa al soffitto. Ma il momento ebbe vita breve. La risata si interruppe velocemente come era iniziata. Il silenzio calò nell’appartamento vuoto.

Lacey scribacchiГІ velocemente il proprio nome sulle carte del divorzio. Era fatta.

Prese un sorso di caffГЁ. Era freddo.



*



Come da ordinaria amministrazione, Lacey salì sull’affollata metropolitana, diretta verso l’ufficio dove lavorava come assistente di un’arredatrice d’interni. Tacchi ai piedi, borsetta in mano, senza guardare in faccia nessuno Lacey era una pendolare come un’altra. Solo che ovviamente non era così. Perché nel mezzo milione di persone che popolavano la metropolitana di New York durante l’ora di punta del mattino, lei era l’unica a cui avevano offerto le carte del divorzio fresche in mano quella mattina stessa. O almeno lei si sentiva così. Era la neo-iscritta al Club delle Divorziate Tristi.

Lacey sentì le lacrime che volevano salirle agli occhi. Scosse la testa e si costrinse a pensare a cose felici. La sua mente andò dritta a Wilfordshire, a quella spiaggia selvaggia e pacifica. In un improvviso e vivido ricordò, riportò alla memoria l’oceano e l’aria salmastra. Ricordò il camioncino dei gelati con la sua musichetta inquietante e le patatine fritte – papà diceva che lì si chiamavano chips – che venivano servite in una vaschetta di polistirolo con una forchettina di legno, e tutti i gabbiani che cercavano di rubargliele non appena si distraeva. Pensò ai suoi genitori, ai loro visi sorridenti durante quella vacanza.

Era stata tutta una bugia? Lei aveva sette anni, Naomi quattro. Nessuna delle due era allora abbastanza grande da poter cogliere tutte le sfumature delle emozioni degli adulti. I suoi genitori erano stati evidentemente bravi a nascondere le cose, perchГ© tutto era andato alla perfezione prima di trasformarsi, dal giorno alla notte, in qualcosa di devastante.

Erano davvero sembrati felici in quei giorni, pensò Lacey, ma agli occhi del mondo esterno probabilmente anche lei e David avevano dato quell’impressione. Ed era davvero così. Un bell’appartamento. Professioni soddisfacenti e ben pagate. La salute. Mancavano solo quei maledetti bambini che erano diventati tutt’a un tratto così importanti per David. In effetti il cambiamento era stato quasi improvviso quanto la scomparsa di suo padre. Magari era una cosa dei maschi. Un subitaneo colpo di genio dal quale non c’era possibilità di ritorno una volta presa la decisione, e quindi tutto ciò che si trovava nel mezzo veniva demolito. Del resto che senso aveva lasciare in piedi qualcosa?

Lacey uscì dalla metropolitana e si unì alle masse di persone che si facevano largo a gomitate tra le strade di New York City. Per tutta la vita aveva chiamato casa questo posto. Ma ora le sembrava soffocante. Aveva sempre adorato la frenesia, per non parlare della confusione. New York era lei stessa in tutto e per tutto. Eppure adesso si sentiva sopraffatta dal desiderio di un cambiamento radicale. Di un nuovo inizio.

Mentre percorreva a piedi gli ultimi due isolati prima del suo ufficio, tirГІ fuori il cellulare dalla borsetta e chiamГІ Naomi. Sua sorella rispose al primo squillo.

“Tutto a posto, tesoro?”

Naomi aveva aspettato con ansia le carte del divorzio, ecco il motivo della rapida risposta, nonostante fosse mattina presto. Ma Lacey non voleva parlare del divorzio.

“Ti ricordi di Wilfordshire?”

“Eh?”

Naomi aveva la voce assonnata. In quanto madre single di Frankie, il bambino di sette anni più turbolento del mondo, non c’era da stupirsi.

“Wilfordshire. L’ultima vacanza che abbiamo fatto con mamma e papà insieme.”

Ci fu un momento di silenzio.

“Perché me lo stai chiedendo?”

Come loro madre, Naomi aveva fatto voto di silenzio su tutti i particolari che riguardavano papà. Lei era più piccola quando lui se n’era andato, e dichiarava di non avere assolutamente ricordi di lui, quindi perché sprecare energie nel curarsi della sua assenza? Ma dopo qualche bicchierino di troppo un venerdì sera, aveva confessato di ricordarselo benissimo, di sognarlo spesso e di aver dedicato tre anni interi a sessioni di terapia settimanali dando furiosamente la colpa dei propri insuccessi nelle relazioni da adulta al suo abbandono. Naomi si era tuffata in un carosello di relazioni passionali e tumultuose quando aveva quattordici anni e non aveva mai smesso. La sua vita amorosa dava a Lacey il capogiro.

“Sono arrivate. Le carte.”

“Oh, Tesoro. Mi spiace. Sei… FRANKIE, METTI GIÙ QUELLA COSA SE NO TI FACCIO VEDERE IO!”

Lacey sussultò, staccando il cellulare dall’orecchio mentre Naomi gridava a Frankie una minaccia di morte se avesse continuato a fare una cosa che a quanto pareva non gli era concessa.

“Scusa, tesoro,” disse Naomi, la voce di nuovo a volume accettabile. “Stai bene?”

“Sto bene.” Lacey fece una pausa. “No, a dire il vero no. Mi sento impulsiva. Su una scala da uno a dieci, quanto folle sarebbe dare buca al lavoro e prendere il prossimo volo per l’Inghilterra?”

“Ehm, che ne dici di undici? Ti licenzieranno.”

“Chiederò un permesso.”

Era praticamente come se Lacey potesse sentire Naomi che ruotava gli occhi.

“Da Saskia? Dici sul serio? Pensi che ti concederà una giornata per te? La donna che l’anno scorso ti ha fatto lavorare a Natale?”

Lacey corrucciò le labbra costernata, un gesto che, secondo sua madre, aveva ereditato da suo padre. “Devo fare qualcosa, Naomi. Mi sento soffocare.” Si allargò il colletto del dolcevita, che all’improvviso le sembrava un cappio.

“Certo che sì. Nessuno ti biasima per questo. Solo non fare niente di avventato. Voglio dire, hai scelto la tua carriera al posto di David. Non metterla a rischio.”

Lacey esitò, le sopracciglia inarcate per la confusione. Era così che Naomi interpretava la situazione?

“Io non ho scelto la mia carriera al suo posto. È stato lui a darmi l’ultimatum.”

“Girala dal verso che vuoi, Lace, però… FRANKIE! FRANKIE, GIURO…”

Lacey aveva raggiunto l’ufficio. Sospirò. “Ciao, Naomi.”

Terminò la chiamata e fissò l’alto edificio in mattoni al quale aveva donato quindici anni della propria vita. Quindici al lavoro. Quattordici a David. Era chiaramente ora che donasse qualcosa a se stessa, no? Solo una piccola vacanza. Un viaggio lungo la linea della memoria. Una settimana. Una quindicina di giorni. Al massimo un mese.

Con un improvviso senso di risoluzione, Lacey entrò a grandi passi nell’edificio. Trovò Saskia in piedi davanti a un computer, intenta ad abbaiare ordini a una stagista che la guardava con espressione terrorizzata. Prima che la sua titolare avesse anche solo la possibilità di dirle una parola, Lacey sollevò una mano interrompendola.

“Mi prendo del tempo libero,” disse.

Ebbe solo il tempo di vedere Saskia che aggrottava la fronte, prima di girare sui tacchi e ripercorrere di gran marcia la strada da cui era venuta.

Cinque minuti dopo, Lacey era al telefono e stava prenotando un volo per l’Inghilterra.




CAPITOLO DUE


“Sei ufficialmente diventata pazza, sorellina.”

“Tesoro, ti stai comportando in modo irrazionale.”

“Zia Lacey sta bene?”

Le parole di Naomi, mamma e Frankie riecheggiavano nella mente di Lacey mentre scendeva dall’aereo all’aeroporto di Heathrow. Magari era stata davvero pazza a saltare sul primo volo in partenza dal JFK, affrontare un viaggio di sette ore su un aereo con nient’altro che la sua borsetta, i suoi pensieri e una borsa di stoffa piena di vestiti e articoli da toletta che aveva comprato dalle catene di negozi in aeroporto. Ma voltare le spalle a Saskia, a New York e a David era stato davvero inebriante. L’aveva fatta sentire giovane. Spensierata. Avventurosa. Coraggiosa. In effetti, le aveva ricordato la Lacey Doyle che era stata nell’AD (Ante David).

Dare alla sua famiglia la notizia che se ne stava andando in Inghilterra senza il minimo preavviso – e nientemeno che in vivavoce – era stato meno inebriante, dato che nessuno di loro sembrava avere filtri e tutti e tre condividevano la stessa cattiva abitudine di esprimere a voce alta quello che passava loro per la testa.

“E se ti licenziano?” aveva piagnucolato sua madre.

“Oh, la licenzieranno di sicuro,” aveva ammesso Naomi.

“La zia Lacey sta avendo un esaurimento nervoso?” aveva chiesto Frankie.

Lacey se li poteva figurare tutti seduti attorno a un tavolo riunioni, concentrati a fare del loro meglio per mandare all’aria il suo piano. Ma ovviamente la realtà non era questa. In quanto suoi più vicini e cari parenti, era loro compito servirle le verità più dure. In questa nuova e poco familiare epoca DD – Dopo David – chi altri avrebbe potuto farlo?

Lacey attraversò l’atrio seguendo il resto dei passeggeri dallo sguardo vacuo. Nell’aria si sentiva la famigerata pioggerellina inglese. Che fantastica primavera. Con l’umidità a incresparle i capelli, Lacey poteva finalmente prendersi una pausa per riflettere. Ma adesso non c’era nessuna via di ritorno, non dopo un volo di sette ore e diverse centinaia di verdoni usciti dal suo conto corrente.

Il terminal era un enorme edificio a forma di serra, tutto acciaio e lucido vetro blu, sovrastato da un tetto curvo all’avanguardia. Lacey entrò nella luccicante stanza dal pavimento piastrellato, decorata con affreschi cubisti offerti dalla, British Building Society – società dal nome d’altri tempi – e si accodò alla fila per il controllo passaporti. Quando arrivò il suo turno, si trovò davanti alla guardia allo sportello, una donna accigliata con i capelli biondi e le sopracciglia disegnate con la matita nera. Lacey le porse il suo passaporto.

“Il motivo della sua visita? Lavoro o piacere?”

L’accento della guardia era duro, lontano dal morbido britannico parlato dagli attori che tanto affascinavano Lacey ne suoi talk-show notturni preferiti.

“Sono in vacanza.”

“Non ha un biglietto di ritorno.”

A causa della sua grammatica poco ortodossa, il cervello di Lacey ebbe bisogno di un momento per elaborare ciò che la donna stava effettivamente dicendo. “È una vacanza con ritorno aperto.”

La donna sollevò le sue grandi sopracciglia nere e il suo cipiglio si trasformò in sospetto. “Le serve un visto se pensa di lavorare.”

Lacey scosse la testa. “Non è mia intenzione farlo. L’ultima cosa per cui sono qui è il lavoro. Ho appena divorziato. Ho bisogno di un po’ di tempo e di spazio per schiarirmi le idee, di mangiare gelato e di guardare qualche pessimo film.”

I lineamenti della guardia si ammorbidirono all’istante in uno slancio di empatia, suggerendo a Lacey la netta impressione che anche lei facesse parte del Club delle Divorziate Tristi.

La guardia le restituì il passaporto. “Buona permanenza. E testa alta, ok?”

Lacey mandò giù il piccolo nodo che le si era formato in gola, ringraziò la donna e proseguì verso gli arrivi. Lì c’erano diversi gruppetti di persone che aspettavano l’arrivo dei loro cari. Alcuni tenevano in mano palloncini, altri dei mazzi di fiori. Un gruppo di bambini biondissimi teneva un cartello che diceva “Bentornata a casa mamma! Ci sei mancata!”

Ovviamente non c’era nessuno ad accogliere lei, e mentre attraversava l’atrio gremito di gente, diretta verso l’uscita, pensò a come David non l’avrebbe più aspettata al suo arrivo in un aeroporto. Se solo avesse saputo che quella volta che era tornata da quel viaggio di lavoro – l’acquisto di un vaso d’antiquariato a Milano – sarebbe stata l’ultima volta che David l’avrebbe sorpresa con il sorriso in faccia e un grosso mazzo di margherite variopinte in mano. Di certo avrebbe assaporato di più il momento.

Una volta uscita, prese un taxi. Era uno di quelli classici neri, e il solo vederlo le procurò all’istante una fitta di nostalgia. Lei, Naomi e i loro genitori avevano viaggiato su un taxi nero quella volta, durante la loro fatidica ultima vacanza di famiglia.

“Dove è diretta?” chiese il tassista quando lei si fu accomodata dietro.

“Wilfordshire.”

Passò un secondo. L’autista si girò del tutto per guardarla in faccia, la fronte profondamente corrugata. “Sa quanto costa un tragitto di due ore?”

Lacey sbatté le palpebre, non sicura di comprendere cosa l’uomo stesse tentando di comunicarle.

“Nessun problema,” disse scrollando impercettibilmente le spalle.

Il tassista parve ancora più perplesso. “È una yankee, vero? Beh, non so quanto è abituata a spendere per un taxi laggiù, ma da questa parte dell’oceano, un viaggio di due ore le costerà un bel gruzzoletto.”

Le sue maniere brusche la colsero un po’ di sorpresa, non solo perché non combaciavano con l’immagine dello sfacciato tassista londinese che aveva nella sua testa, ma più per la velata allusione al fatto che lei potesse non permettersi un viaggio del genere. Si chiese se ciò fosse dovuto al fatto che lei era una donna che viaggiava da sola. Nessuno aveva mai sporto obiezioni quando lei e David avevano preso un taxi insieme per un lungo tragitto.

“Posso pagare,” lo rassicurò, il tono un po’ raggelato.

L’autista si rigirò e premette il pulsante d’accensione del tassametro. Il dispositivo emise un bip e una lucina verde raffigurante il simbolo della sterlina si accese, suscitando in Lacey l’ennesima ondata di nostalgia.

“Se lo dice lei,” disse l’uomo con tono sommesso, immettendosi in strada.

“La super ospitalità britannica,” pensò lei.

*



Arrivarono a Wilfordshire due ore più tardi come promesso, per la bellezza di “duecento sterline e cinquanta, grazie.” Ma la tariffa onerosa – e il tassista per niente amichevole – divennero insignificanti nel momento in cui Lacey uscì dal veicolo e respirò profondamente la fresca aria marina. Aveva proprio lo stesso odore che ricordava.

Lacey aveva sempre considerato pazzesco il modo in cui odori e sapori potessero evocare dei ricordi così forti, e ora era proprio uno di quei casi. L’aria salmastra le fece nascere dentro un improvviso slancio di spensierato piacere, una sensazione che non aveva mai provato da quando suo padre se n’era andato. Fu tanto forte che quasi le girò la testa. L’ansia che aveva addosso per la reazione della sua famiglia al viaggio semplicemente si dissolse. Lacey si trovava proprio doveva aveva bisogno di essere.

Imboccò la via principale. Della pioggerellina che aveva circondato l’aeroporto di Heathrow qui non c’era traccia, e gli ultimi rimasugli di tramonto rivestivano ogni cosa di una luce dorata che appariva quasi magica. Era proprio come ricordava: due file parallele di antiche casette in pietra, costruite proprio al limitare dei marciapiedi in acciottolato, le vetrate sporgenti originali affacciate sulle strade. Nessuna delle facciate dei negozi era stata ristrutturata o modernizzata da quando era stata lì l’ultima volta. In effetti sembrava che tutti gli esercizi avessero l’insegna originale in legno che dondolava sopra alla porta, tanto che ogni negozio appariva unico. Si vendeva di tutto, dagli abiti per bambini alla merceria, dai prodotti da forno alle piccole caffetterie. C’era anche un negozio di caramelle in vecchio stile pieno di enormi vasi di vetro con dolciumi colorati, dove con un solo centesimo si poteva comprare anche un singolo pezzo.

Era aprile e la città era decorata con bandierine colorate per le imminenti festività pasquali. Gli addobbi erano tutti legati tra i negozi e si incrociavano sopra alla strada. E c’era un sacco di gente in giro – la folla del post-lavoro, pensò Lacey – con tante persone sedute ai pub sulle panche da pic-nic a bere birra, o fuori dalle caffetterie attorno a tavolini da bistrò a mangiare dei dolci. Sembravano tutti di buon umore e il loro chiacchiericcio allegro faceva da piacevole sottofondo, come una sorta di rumore bianco.

Provando la calmante certezza che ciò che stava facendo era la cosa giusta, Lacey tirò fuori il cellulare e scattò una foto della strada principale. Con la fascia argentata del mare che luccicava all’orizzonte e il cielo così meravigliosamente striato di rosa, sembrava davvero una cartolina. La condivise subito sul gruppo della sua famiglia: Doyle Girls. Il nome gliel’aveva dato Naomi, e a Lacey non era piaciuto per niente al tempo.

È proprio come me lo ricordavo, aggiunse sotto all’immagine perfetta che aveva realizzato.

Un secondo dopo si sentì dal telefono il suono di un messaggio in ingresso. Naomi aveva risposto.

Sembra che per sbaglio tu sia finita a Diagon Alley, sorellina.

Lacey sospirГІ. Era la tipica risposta sarcastica della sorella piГ№ giovane e avrebbe dovuto aspettarsela. PerchГ© ovviamente Naomi non poteva limitarsi a essere felice per lei, o addirittura orgogliosa del modo in cui aveva preso in pugno la propria vita.

Hai usato un filtro? diceva la risposta di sua madre un attimo dopo.

Lacey ruotò gli occhi al cielo e mise via il telefono. Determinata a non permettere a nessuno di rovinarle l’umore, fece un profondo respiro calmante. La differenza nella qualità dell’aria, rispetto a quella inquinata del centro di New York che stava respirando solo quella mattina, era davvero sorprendente.

Continuò a percorrere la strada, il rumore dei tacchi che risuonava contro le pietre del selciato. Il prossimo obiettivo era quello di trovare una stanza d’hotel per il numero indeterminato di notti che aveva intenzione di trascorrere in quel posto. Si fermò fuori dal primo B&B che incontrò sulla sua strada, lo Shire, ma vide che il cartellino alla finestra era stato ruotato sulla scritta “Al completo”. Niente di cui preoccuparsi. La strada principale era lunga, e se la memoria non la ingannava, c’erano un sacco di altri posti dove provare.

Il B&B successivo – Da Laurel – era dipinto di rosa zucchero filato, e il cartello diceva “Tutto prenotato”. Parole diverse, medesimo concetto. Solo che questa volta un minimo senso di panico si insinuò in Lacey, dandole una piccola stretta al petto.

Lei si sforzò di cacciare via quella sensazione: era solo la pulce che i suoi parenti le avevano messo nell’orecchio. Non c’era nessun motivo di agitarsi. Molto presto avrebbe trovato un posto dove stare.

Proseguì. Tra una gioielleria e una libreria, il Seaside Hotel era al completo, e andando avanti dopo gli articoli da campeggio e l’estetista, anche il B&B da Carol non aveva posto. La storia proseguì in questo modo fino a che Lacey si trovò alla fine della strada.

Ora il panico si era davvero impadronito di lei. Come aveva potuto essere così sciocca da venire qui senza niente di pronto? La sua intera carriera si era basata sull’organizzazione di diverse cose, eppure adesso aveva clamorosamente fallito nel programmare la sua vacanza! Non aveva niente di suo qui, e ora le mancava pure una camera. Avrebbe dovuto tornare sui suoi passi, sborsare un altro �duecento sterline, grazie’ per il viaggio di ritorno in taxi fino a Heathrow e prendere il prossimo volo che la riportasse a casa? Non c’era da meravigliarsi che David avesse incluso una clausola di assistenza coniugale: non ci si poteva proprio fidare di lei con i soldi!

Mentre la mente di Lacey vorticava tra pensieri nevrotici, lei girò su se stessa, come se, guardando meglio la strada che aveva appena percorso, così dal nulla potesse saltare fuori un altro B&B. Solo così facendo però Lacey si rese conto che l’ultimo edificio d’angolo davanti al quale si trovava era una locanda. La Coach House.

Sentendosi una sciocca, Lacey si schiarì la gola e rimise insieme le idee, quindi entrò.

L’interno era in tipico stile pub: grandi tavoli di legno, una lavagna con il menù della sera scritto in corsivo con il gesso bianco, una macchinetta per il gioco d’azzardo nell’angolo con pacchiane luci lampeggianti. Lacey andò al bancone, dove c’erano mensole di vetro piene zeppe di bottiglie di vino e una serie di contenitori di vetro con alcolici di diversi colori che stavano appesi a testa in giù, pronti per essere spinati. Era tutto molto pittoresco. C’era anche un vecchio ubriaco appisolato al bancone, che usava le braccia come cuscino.

La barista era una ragazza slanciata con i capelli biondo chiaro raccolti in uno spettinato chignon in cima alla testa. Sembrava decisamente troppo giovane per poter lavorare in un locale. Lacey decise che la cosa dipendeva dall’età più bassa a cui era permesso il consumo di alcolici in Inghilterra, piuttosto che dal fatto che più lei invecchiava e più gli altri le sembravano avere visi da bambino.

“Cosa desidera?” chiese la ragazza.

“Una stanza,” disse Lacey. “E un bicchiere di prosecco.”

Aveva voglia di festeggiare.

Ma la giovane scosse la testa. “Siamo al completo per Pasqua.” Parlava allargando tanto la bocca che le si vedeva la gomma americana che stava masticando. “Tutto il paese è pieno. Sono le vacanze scolastiche e c’è un sacco di gente a cui piace portare i bambini a Wilfordshire. Non ci sarà niente per almeno quindici giorni.” Fece una pausa. “Allora va bene solo il prosecco?”

Lacey si aggrappò al bancone per non perdere l’equilibrio. Sentiva lo stomaco attorcigliarsi. Ora si sentiva davvero come la donna più cretina al mondo. Non c’era da meravigliarsi che David l’avesse lasciata. Era davvero incasinata e disorganizzata. Un insulto agli esseri umani. Eccola qui, a fare finta di poter essere un’adulta indipendente all’estero, quando in realtà non riusciva neanche a trovarsi una camera d’albergo.

In quel momento Lacey scorse una persona con la coda dell’occhio. Si voltò e vide un uomo che avanzava verso di lei. Era sulla sessantina e indossava una camicia a quadri infilata nei jeans, occhiali da sole tirati indietro sulla testa calva e un portacellulare alla cintura.

“Ho sentito che stai cercando un posto dove stare?” le chiese.

Lacey stava per dire di no – poteva anche essere disperata, ma concordare un pernottamento con un uomo che aveva il doppio dei suoi anni e che l’aveva avvicinata in un bar era un po’ troppo da Naomi per i suoi gusti. Poi l’uomo chiarì la cosa: “Perché affitto case per le vacanze.”

“Oh?” rispose Lacey, sorpresa.

L’uomo annuì e le mostrò un piccolo biglietto da visita che tirò fuori dalla tasca dei jeans. Lacey lo osservò attentamente.

Le accoglienti, rustiche ed eleganti case vacanza di Ivan Parry. L’ideale per tutta la famiglia.

“Sono al completo, come ha detto Brenda,” continuò Ivan accennando alla barista. “A parte una casa che ho appena arraffato all’asta. A dire il vero non è ancora pronta per essere affittata, ma posso fartela vedere se sei davvero a piedi. Magari te la offro a prezzo scontato, dato che è un po’ una discarica? Giusto nell’attesa che gli hotel tornino disponibili.”

Lacey si sentì pervadere dal sollievo. Il biglietto da visita sembrava vero, e Ivan non le aveva fatto scattare nessuna sirena d’allarme nella testa. La fortuna stava virando dalla sua parte! Si sentiva così sollevata che avrebbe potuto stampargli un bacio sulla testa pelata!

“Lei è il mio salvatore!” gli disse, riuscendo a contenersi.

Ivan arrossì. “Magari aspetta di vederla, prima di giudicare.”

Lacey ridacchiò. “Onestamente, quanto male può essere?”



*



Lacey sembrava una donna con le doglie da parto mentre si arrampicava lungo il lato della scogliera accanto a Ivan.

“È troppo ripido?” le chiese con tono preoccupato. “Avrei dovuto dirti che era sulla scogliera.”

“Nessun problema,” disse Lacey ansimando. “Adoro… le vedute… sul mare.”

Per tutta la camminata fino a lì, Ivan si era dimostrato l’esatto contrario dello scafato uomo d’affari, ricordando a Lacey lo sconto promesso (al di là del fatto che non avevano ancora discusso il prezzo) e dicendole ripetutamente di non coltivare troppe speranze. Ora, con le gambe che le facevano male per la scarpinata, Lacey stava iniziando a chiedersi se non avesse tutto sommato ragione a svilire così quel posto.

Questo fino a che la casa non apparve sul cocuzzolo della collina. Un edificio di pietra si stagliava contro il rosa ormai quasi del tutto sfumato del cielo. Lacey sussultГІ sonoramente.

“È quella?” disse senza fiato.

“È lei,” rispose Ivan.

Una forza che le arrivava dal nulla improvvisamente le diede uno slancio di energia, e Lacey percorse di gran carriera l’ultimo tratto di salita. Ogni passo che la portava più vicina a quell’attraente edificio le rivelava una caratteristica meravigliosa dopo l’altra: l’affascinante facciata di pietra, il tetto in ardesia, la pianta di rosa rampicante avvolta attorno alle colonne della veranda, l’antica e spessa porta ad arco che sembrava uscita da una fiaba. E a fare da contorno al tutto, c’era l’oceano luccicante e sconfinato.

Lacey era con gli occhi strabuzzati e la bocca aperta quando si fermò davanti all’edificio. Un segnale in legno a bordo strada diceva: Crag Cottage.

Ivan la raggiunse, una lunga catenella portachiavi che gli tintinnava in mano mentre cercava quella giusta nel mazzo. Lacey si sentiva come una bambina davanti al furgoncino dei gelati, molleggiando sulle dita dei piedi, in impaziente attesa che l’erogatore della crema soft facesse il suo dovere.

“Non nutrire troppo le tue speranze,” le disse Ivan per l’ennesima volta, trovando finalmente la chiave – una grossa e di bronzo rugginoso, che sembrava poter aprire il castello di Raperonzolo – e girandola nella serratura per poi aprire finalmente la porta.

Lacey entrò allegramente nel cottage e fu colpita dall’improvvisa e potente sensazione di trovarsi a casa.

Il corridoio era a dir poco rustico, con assi di legno non trattato e carta da parati appariscente ma sbiadita. Al centro della scala che aveva alla sua destra c’era un lussuoso tappeto rosso con i bordi dorati, come se il precedente proprietario avesse pensato che quella fosse una casa maestosa e non un piccolo cottage. A sinistra c’era una porta di legno aperta che sembrava invitarla ad entrare.

“Come dicevo, è un po’ trasandata,” disse Ivan, mentre Lacey entrava in punta di piedi nella stanza.

Si trovò in un salotto. Tre pareti erano ricoperte di carta da parati, anch’essa sbiadita, a strisce verde menta e bianche, mentre la quarta aveva le pietre di costruzione a vista. Una grande finestra a sbalzo si affacciava sull’oceano, con una poltrona fatta apposta posizionata subito sotto. Un intero angolo era occupato da una stufa a legna con una lunga canna fumaria nera, un secchio argentato accanto, pieno di pezzi di legno. Una grande libreria, anch’essa in legno, copriva quasi interamente una delle pareti. Il set abbinato di divano, poltrona e poggiapiedi sembrava risalire agli anni Quaranta. Tutto aveva bisogno di una buona spolverata, ma per Lacey questo rendeva il posto ancora più perfetto.

Fece una mezza piroetta sul posto rivolgendosi a Ivan, che sembrava apprensivo mentre aspettava un suo commento.

“È adorabile,” gli disse.

L’espressione di Ivan si fece sorpresa (con un accenno di orgogliò, da quello che Lacey poté notare).

“Oh,” esclamò. “Che sollievo!”

Lacey non era capace di contenersi. Piena di entusiasmo, fece il giro del salotto, osservandone tutti i dettagli. Sull’adorno scaffale intagliato c’erano un paio di libri gialli, le pagine raggrinzite per l’età. Un salvadanaio in porcellana a forma di pecora e un orologio non più funzionante erano posati sulla seconda mensola in basso, e sulla base c’era una collezione di delicate teiere in ceramica. Era come l’avverarsi del sogno di un amante dell’antiquariato.

“Posso vedere il resto?” chiese Lacey, sentendosi il cuore gonfio di emozione.

“Come fossi a casa tua,” rispose Ivan. “Io scendo in cantina a sistemare riscaldamento e acqua.”

Percorsero il piccolo corridoio scuro. Ivan scomparve oltre la porta sotto alla scala, mentre Lacey continuГІ in cucina, il cuore che le batteva per la nervosa anticipazione.

Quando ebbe varcato la soglia della stanza, sussultГІ sonoramente.

La cucina sembrava venire da un museo dell’epoca vittoriana. C’era una cucina economica nera originale, pentole di rame che pendevano da ganci avvitati al soffitto e un grosso piano da macellaio al centro. Dalle finestre Lacey poté scorgere un ampio prato. Dall’altra parte dell’elegante porta finestra c’era un patio, che era stato arredato con un traballante set di tavolo e sedie. Lacey già si poteva vedere mentre sedeva là fuori, mangiando brioche fresche di pasticceria e bevendo caffè biologico peruviano comprato al negozio equo solidale.

Improvvisamente un forte colpo la risvegliГІ bruscamente dal suo sogno a occhi aperti. Veniva da un qualche punto sotto ai suoi piedi: aveva sentito addirittura vibrare le assi del pavimento.

“Ivan?” provò a chiamare, tornando in corridoio. “Va tutto bene?”

La voce dell’uomo le arrivò dalla porta aperta della cantina. “Sono solo i tubi. Penso non vengano usati da anni. Ci vorrà un poco perché si sistemino.”

Un altro forte colpo la fece saltare sul posto. Ma conoscendo ora l’innocua causa, questa volta reagì ridendo.

Ivan riemerse dalla scala della cantina.

“Tutto sistemato. Spero davvero che i tubi non ci mettano troppo ad assestarsi,” le disse in maniera nervosa.

Lacey scosse la testa. “È un elemento in più che si aggiunge al fascino del quadro complessivo.”

“Quindi puoi stare qui quanto ti pare,” aggiunse. “Terrò le orecchie aperte e ti faccio sapere non appena si libera qualcosa negli alberghi.”

“Non ti preoccupare,” gli rispose lei. “Questo è proprio quello che non mi ero resa conto di cercare.”

Ivan le lanciò uno dei suoi sorrisi timidi. “Allora dieci a notte possono andare?”

Lacey inarcò le sopracciglia. “Dieci? Vale a dire dodici dollari o giù di lì?”

“Troppo?” rispose Ivan con le guance che avvampavano di rosso. “Magari cinque?”

“Non troppo! Troppo poco!” esclamò Lacey, rendendosi conto di essersi messa a negoziare per alzare il prezzo piuttosto che abbassarlo. Ma il ridicolo sottoprezzo che le stava offrendo rasentava il furto, e lei non aveva intenzione di approfittare di quest’uomo tenero e imbranato che l’aveva salvata in un momento di estremo bisogno. “È una casa con due camere. Adatta a una famiglia. Una volta spolverata e ripulita, potresti facilmente ricavarci centinaia di dollari a notte!”

Ivan sembrava non sapere dove guardare. Chiaramente parlare di soldi lo metteva a disagio. Ulteriore prova del fatto che, secondo Lacey, non era adatto alla vita di un uomo d’affari. Sperava davvero che nessuno dei suoi clienti si approfittasse di lui.

“Beh, allora cosa ne dici di quindici a notte?” suggerì Ivan. “E ti mando qualcuno per la spolverata e ripulita.”

“Venti,” rispose Lacey. “E posso spolverare e pulire da sola.” Fece un sorrisino e gli tese la mano. “Ora dammi la chiave. Non accetto un no come risposta.”

Il rosso sulle guance di Ivan si allargГІ alle orecchie e giГ№ lungo il collo. Fece un piccolo segno di assenso e passГІ a Lacey la chiave di bronzo.

“Il mio numero è sul biglietto da visita. Chiamami se si rompe qualcosa. O forse dovrei dire quando.”

“Grazie,” disse Lacey, riconoscente, con una risatina.

Ivan se ne andГІ.

Ora da sola, Lacey andò al piano di sopra per finire la sua esplorazione. La camera principale si affacciava sulla parte frontale della casa, con balcone e veduta sull’oceano. Era un’altra stanza in stile museo, con un grande letto a baldacchino in legno scuro e un armadio abbinato tanto grande da poterla portare a Narnia. La seconda camera dava sul retro e si affacciava sul prato. Il gabinetto era separato dalla stanza da bagno e di per sé era grande più o meno come uno sgabuzzino. La vasca era bianca e con i piedi di bronzo. Non c’era nessuna doccia separata, ma solo un attacco sul rubinetto della vasca.

Lacey tornò nella camera matrimoniale e si lasciò cadere sul letto a baldacchino. Era la prima volta che aveva davvero l’occasione di riflettere su quella frastornante giornata, e si sentiva effettivamente quasi scioccata. Quella mattina era stata una donna divorziata dopo quattordici anni di matrimonio. Ora era single. Era stata un’impegnata donna in carriera a New York. Ora si trovava in un cottage in cima a una scogliera in Inghilterra. Che emozione! Che brivido! Non aveva mai fatto niente di tanto coraggioso in vita sua, e cavolo se era bello!

I tubi emisero un altro sonoro scoppio e Lacey lanciГІ un gridolino. Ma un attimo dopo scoppiГІ a ridere.

Rimase sdraiata sul letto, fissando il rivestimento di stoffa sopra di sé e ascoltando il rumore delle onde che si infrangevano contro la scogliera. Quel suono riportò improvvisamente alla sua mente la fantasia infantile precedentemente accantonata di vivere vicino all’oceano. Che buffo che si fosse dimenticata del tutto di quel sogno. Se non fosse tornata a Wilfordshire, sarebbe rimasto forse sepolto nella sua mente e mai più recuperato? Si chiese quali altri ricordi avrebbero potuto tornarle alla mente durante la sua permanenza qui. Forse, dopo essersi svegliata l’indomani, avrebbe esplorato un po’ il paese, alla ricerca di indizi nascosti.




CAPITOLO TRE


Lacey fu svegliata da uno strano rumore.

Si mise a sedere di scatto, momentaneamente confusa trovandosi nella stanza poco familiare, ora illuminata solo da un piccolo raggio di luce naturale che filtrava tra le tende. Le ci volle un secondo per ricalibrare il proprio cervello e ricordare che non si trovava piГ№ nel suo appartamento di New York, ma in un cottage di pietra a Wilfordshire, in Inghilterra.

Il rumore si ripeté. Non era il solito scoppio dei tubi dell’acqua questa volta, ma qualcosa di completamente diverso, qualcosa che sembrava avere origine animale.

Controllando il cellulare con gli occhi annebbiati, Lacey vide che erano le cinque di mattina. Sospirando, si alzò stancamente dal letto. Gli effetti del jet-lag apparvero subito evidenti nella pesantezza delle gambe mentre si portava al balcone a piedi scalzi e tirava le tende. Da lì si vedeva il limitare della scogliera e la distesa del mare che all’orizzonte andava a fondersi con un cielo chiaro e privo di nuvole che stava cominciando pian piano a diventare blu. Non si vedeva nessun animale colpevole sul prato antistante, e quando sentì ancora il rumore, Lacey riuscì questa volta a definirne la provenienza: il retro della casa.

Avvolgendosi nella vestaglia che si era ricordata di comprare all’ultimo secondo in aeroporto, scese trotterellando le scale scricchiolanti per andare a indagare. Andò diretta verso il retro della casa, nella cucina, dove le grandi finestre di vetro e la porta finestra le davano una completa veduta sul prato retrostante. E lì Lacey scoprì l’origine del rumore.

Nel suo giardino c’era un intero gregge di pecore.

Lacey sbattГ© le palpebre. Dovevano essercene almeno quindici! Venti. Forse di piГ№!

Si strofinò gli occhi, ma quando li riaprì, tutte quelle creature dal pelo voluminoso erano ancora lì, intente a brucare l’erba. Poi una alzò la testa.

Lacey fissГІ la pecora dritta negli occhi, fino a che, alla fine, la bestia piegГІ la testa indietro ed emise un lungo e sonoro belato.

Lacey si mise a ridere. Non le veniva in mente modo migliore per iniziare la sua nuova vita DD. All’improvviso il fatto di essere lì a Wilfordshire assomigliava meno a una vacanza e più a una dichiarazione d’intento, un riscatto del suo vecchio sé, o forse un sé completamente nuovo, mai incontrato prima. Qualsiasi cosa fosse, le dava allo stomaco una sensazione di bollicine, come se qualcuno gliel’avesse riempito di champagne (o forse era solo il jet-lag: per quello che ne sapeva il suo orologio interno, il suo corpo aveva appena avuto l’occasione di godersi una bella dormita fino a tardi). Ad ogni modo, Lacey non vedeva l’ora di cominciare la giornata.

Si sentiva pervasa da un improvviso entusiasmo e desiderio di avventura. Ieri si era svegliata con i soliti rumori del traffico di New York, oggi con il suono di innocenti belati. Ieri aveva avuto nelle narici l’odore di bucato fresco e prodotti per la pulizia. Oggi: polvere e oceano. Aveva preso la vecchia familiarità della sua vita e l’aveva spazzata via del tutto. In quanto neo-donna single, il mondo le sembrava improvvisamente come un guscio di conchiglia. Voleva esplorare! Scoprire! Imparare! Tutt’a un tratto si sentiva traboccare di un entusiasmo che non aveva provato da quando… beh, da quando suo padre le aveva lasciate.

Lacey scosse la testa. Non voleva pensare a cose tristi. Era determinata a non permettere a niente di rovinare quel suo nuovo senso di gioia. Almeno non oggi. Oggi avrebbe impugnato quella sensazione e non l’avrebbe lasciata andare per niente al mondo. Oggi era libera.

Cercando di non pensare troppo alla pancia che brontolava, cercò di fare una doccia nella grande vasca scivolosa. Usò la strana pompa collegata ai rubinetti per spruzzarsi di acqua dalla testa ai piedi, come si sarebbe potuto fare con un cane ricoperto di fango. Senza alcun preavviso l’acqua passava di tanto in tanto da calda a gelata mentre i tubi facevano clang-clang-clang. Ma l’immediata morbidezza dell’acqua, confronto a quella più dura a cui era abituata a New York, fu per lei l’equivalente di un balsamo ravvivante su tutto il corpo, e Lacey si crogiolò in esso, anche quando un’improvvisa ondata fredda le faceva battere i denti.

Quando tutto lo sporco dell’aeroporto e l’inquinamento della città furono eliminati dalla sua pelle, lasciandola quasi letteralmente luccicante, Lacey si asciugò e indossò i vestiti che si era comprata in aeroporto. C’era un grande specchio all’interno dell’anta dell’armadio di Narnia, e Lacey lo usò per darsi una controllata. Non era proprio un gran che.

Fece una smorfia. Aveva preso i vestiti da un negozio per abbigliamento da spiaggia all’aeroporto, ragionando sul fatto che degli abiti casual fossero la scelta più adeguata alla sua vacanza al mare. I pantaloni beige erano un po’ troppo stretti, la camicia bianca di mussola le cadeva larga addosso e le scarpe erano larghe e leggere, ancora meno adatte dei suoi tacchi ai ciottoli delle strade! La priorità della giornata sarebbe stata quella di investire in qualcosa di decente da mettersi.

La pancia di Lacey brontolГІ ancora.

Seconda prioritГ , pensГІ, accarezzandosi lo stomaco.

Andò al piano di sotto, i capelli bagnati che le gocciolavano sulla schiena, ed entrò in cucina. Guardando dalla finestra, vide che solo due pecore della banda di quella mattina erano ora rimaste nel suo giardino. Controllando la credenza e il frigorifero, scoprì che entrambi erano vuoti. Era ancora troppo presto per andare in città, in pasticceria, e prendere le sue leccornie fresche di forno per la colazione. Avrebbe dovuto ammazzare un po’ il tempo.

“Ammazziamo il tempo!” esclamò Lacey con voce alta e piena di gioia.

Quand’era stata l’ultima volta che ne aveva avuto l’occasione? Quando si era mai anche solo permessa la libertà di sprecare del tempo? David era sempre stato così rigido con quel poco tempo libero che lei aveva. Ginnastica. Brunch. Commissioni di famiglia. Qualcosa da bere. Ogni momento “libero” era sempre programmato. Lacey ebbe un’improvvisa epifania: il semplice atto di programmare il tempo libero, ne negava la libertà! Permettendo a David di pianificare e dettare quello che facevano ogni volta, lei si era effettivamente lasciata rinchiudere in una camicia di forza di obblighi sociali. Quel momento di chiarezza la colpì con la potenza di una rivelazione buddista.

Il Dalai Lama sarebbe così fiero di me, pensò, battendo le mani compiaciuta.

In quel preciso istante le pecore in giardino belarono. Lacey decise che avrebbe usato la sua neo-acquisita libertГ  per trasformarsi in una detective amatoriale e scoprire da dove fosse saltato fuori quel gregge.

Aprì la porta finestra e uscì sul patio. La fresca umidità generata dall’oceano le bagnò il volto mentre lei percorreva il viottolo del giardino, diretta verso le due palle di pelo morbido che ancora stavano brucando la sua erba. Quando la sentirono arrivare, trotterellarono via goffamente, senza la minima grazia, e scomparvero attraverso un varco tra le siepi.

Lacey le seguì e guardò attraverso il buco, vedendo un altro giardino pieno di fiori variopinti al di là del groviglio di arbusti e cespugli. Quindi aveva dei vicini. A New York i suoi vicini erano stati distaccati, coppie di professionisti come lei e David, le cui vite consistevano nell’uscire di casa prima del sorgere del sole per farvi ritorno dopo il tramonto. Ma questi, da come appariva il loro giardino perfettamente curato, si godevano la bella vita. E avevano delle pecore! Non c’era un solo animale nel vecchio condominio in cui Lacey aveva abitato fino al giorno precedente. La gente impegnata negli affari non aveva tempo per gli animali domestici, né tantomeno l’inclinazione per avere a che fare con mute del pelo o odori da fattoria. Che delizia vivere ora a così stretto contatto con la natura! Addirittura l’odore degli escrementi delle pecore era in piacevole contrasto con l’appartamento iper-pulito di New York.

Mentre si rimetteva dritta in piedi, Lacey notò un’area dove l’erba era pestata e rada, ma un sentiero segnato dal passaggio ripetuto di tantissimi piedi. Conduceva dagli arbusti alla scogliera. Lì c’era un cancelletto, praticamente fagocitato dalle piante. Lacey vi si avvicinò e lo aprì.

Sul versante della scogliera era stata ricavata una serie di gradini che portavano giГ№ fino alla spiaggia. Sembrava una cosa uscita da una fiaba, pensГІ Lacey, felicemente sorpresa mentre si apprestava a scendere con attenzione.

Ivan non le aveva neanche detto che c’era un passaggio diretto fino alla spiaggia. Se le fosse venuta una voglia matta di sentire la sabbia tra le dita dei piedi, poteva esaudire il desiderio nel giro di pochi minuti. E pensare che a New York era sempre stata così orgogliosa dei due minuti a piedi che la separavano dalla metropolitana.

Scese i disordinati gradini fino a che si trovò circa un metro sopra alla spiaggia. Fece un salto e la sabbia morbida permise alle sue ginocchia di assorbire perfettamente l’impatto nonostante le scarpe scadenti acquistate in aeroporto.

Lacey fece un profondo respiro, sentendosi totalmente libera da ogni pensiero. Questa parte della spiaggia era deserta. Intatta. Doveva essere troppo distante dai negozi in paese perchГ© la gente vi si avventurasse. Era come se fosse una sua spiaggetta personale e privata.

Guardando in direzione del paese, vide il molo che sporgeva allungandosi nell’acqua dell’oceano. Subito venne colpita da un ricordo che la vedeva giocare al tirassegno, e la rumorosa sala giochi dove suo padre aveva permesso loro di spendere due sterline. Lacey ricordò che sul molo c’era anche un cinema. Era esaltata dai frammenti di memoria che le stavano tornando alla mente. Era una piccola sala, grande quanto una monovolume e praticamente non era quasi cambiato da quando l’avevano costruito, con le poltrone in elegante velluto rosso. Papà aveva portato lei e Naomi a guardare un oscuro cartone giapponese là dentro. Lacey si chiese quanti altri ricordi le sarebbero tornati alla mente durante la sua permanenza a Wilfordshire. Quanti altri vuoti nella memoria sarebbero stati riempiti da questo viaggio?

C’era bassa marea, quindi buona parte della struttura del molo era visibile. Da dove si trovava lei, si potevano vedere anche alcune persone che portavano a spasso il cane e un paio di altre che facevano jogging. Il paese stava iniziando a svegliarsi. Magari adesso avrebbe trovato una caffetteria aperta. Decise di imboccare la lunga via che costeggiava il mare per andare in paese e iniziò a percorrerla.

Man mano che si avvicinava al centro cittadino, la scogliera arretrava, e presto ci furono solo strade e stradine. Nel momento in cui mise piede sulla via pedonale, le venne in mente un altro improvviso ricordo: un mercato sotto un tendone che vendeva vestiti, gioielli e bastoncini di zucchero. C’erano sul pavimento una serie di numeri disegnati con la vernice che indicavano i punti in cui andavano sistemate. Lacey provò un’ondata di entusiasmo.

Allontanandosi dalla spiaggia, si diresse verso la strada principale, o High Street, come la chiamavano i Britannici. Notò il Coach House all’angolo, dove aveva incontrato Ivan la sera precedente, poi svoltò nella via decorata di festoni.

Era così diverso rispetto a stare a New York. Il passo era più lento. Non c’era il suono continuo dei claxon. Nessuno spingeva. E, con sua sorpresa, alcune caffetterie erano effettivamente aperte.

EntrГІ nella prima che trovГІ, dove sembrava non esserci coda in vista, e ordinГІ un caffГЁ americano e una brioche. Il caffГЁ era perfetto, forte e cremoso. La brioche riempiva la bocca di pasta friabile e delizia burrosa.

Con lo stomaco finalmente soddisfatto, Lacey decise che era giunta l’ora di andare a trovare degli abiti decenti. Aveva visto un bel negozietto alla moda all’altro capo della strada principale e aveva già iniziato a camminare in quella direzione quando un profumo di zuccherò le assalì le narici. Si voltò e vide un negozio di fudge artigianali che aveva appena aperto i battenti. Incapace di resistere, entrò.

“Vuole provare un assaggio gratuito?” chiese un uomo con un grembiule bianco a strisce rosa. Le indicò un vassoio argentato pieno di cubetti di diverse sfumature di marrone. “Abbiamo cioccolato nero e bianco, caramello, toffee, caffè, frutta mista e originale.”

Lacey sgranò gli occhi. “Posso provarli tutti?” chiese.

“Certamente!”

L’uomo tagliò dei cubetti per ogni gusto e glieli servì in modo che potesse provarli. Lacey si mise in bocca il primo e le sue papille gustative esplosero.

“Sorprendente,” disse con la bocca piena.

PassГІ al successivo. In qualche modo era migliore del primo.

Provò un pezzo dopo l’altro, e tutti le parvero man mano sempre più deliziosi.

Quando mise in bocca l’ultimo, quasi non si concesse il tempo di respirare ed esclamò subito: “Devo mandarne qualcuno a mio nipote. Resistono se li spedisco a New York?”

L’uomo sorrise e tirò fuori una scatola di cartone rivestito di carta stagnola. “Se usa la nostra speciale confezione per la consegna, sicuramente,” le disse ridendo. “È diventata una richiesta talmente comune, che le abbiamo fatte progettare appositamente. Abbastanza sottili da passare nella cassetta della posta, e leggere per mantenere basso il costo della spedizione. Può anche comprare i francobolli qui.”

“Che moderno!” disse Lacey. “Ha pensato a tutto.”

L’uomo riempì la scatola con un cubetto per ogni gusto, la chiuse per bene fissando il coperchio con del nastro adesivo e vi appiccicò sopra il giusto francobollo postale. Dopo aver pagato e ringraziato l’uomo, Lacey prese il suo pacchetto, scrisse il nome di Frankie e l’indirizzo e lo imbucò nella tradizionale cassetta delle lettere dall’altra parte della strada.

Quando il pacco fu sparito attraverso la fessura, Lacey si rese conto che si stava distraendo dal suo effettivo compito: trovare dei vestiti. Stava per ripartire alla ricerca di un negozio d’abbigliamento, quando la sua attenzione venne richiamata dalla vetrina del negozio accanto alla cassetta della posta. Mostrava una scena della spiaggia di Wilfordshire con il molo che si allungava nel mare, ma l’intera figura era stata realizzata con macarons color pastello.

Lacey si pentì subito della brioche e degli assaggi di fudge che aveva già mangiato, perché la vista di quella delizia le fece venire l’aquilina in bocca. Fece una foto per il gruppo delle Doyle Girls.

“Posso esserle di aiuto?” chiese una voce accanto a lei.

Lacey si mise sull’attenti. Sulla porta del negozio c’era il proprietario, un uomo di bell’aspetto sulla quarantina, con i capelli folti e scuri e una mandibola ben disegnata. Aveva gli occhi verdi e brillanti, con piccole rughe di espressione ai lati che facevano subito capire quanto fosse uno che si godeva la vita, il tutto confermato da una bella abbronzatura, segno di frequenti viaggi in paesi dai climi più caldi.

“Sto solo facendo un giro per vetrine,” disse Lacey, la voce che le usciva come se qualcuno le stesse strizzando le corde vocali. “Questa mi piace molto.”

L’uomo sorrise. “L’ho fatta io. Perché non entri e provi qualche dolcetto?”

“Mi piacerebbe, ma ho già mangiato,” spiegò Lacey. La brioche, il caffè e i fudge sembravano agitarsi nel suo stomaco, dandole quasi una sensazione di nausea. Lacey si rese conto all’improvviso di quello che stava succedendo: era quella sensazione di attrazione fisica, perduta da tempo, che le faceva sentire le farfalle che volavano nello stomaco. Le sue guance subito si imporporarono.

L’uomo ridacchiò. “Dall’accento mi pare di capire che sei americana. Quindi forse non sai che qui in Inghilterra abbiamo questa cosa che si chiama la pausa delle undici. Viene dopo la colazione e prima del pranzo.”

“Non ti credo,” rispose Lacey, facendo una piccola smorfia con le labbra. “La pausa delle undici?”

L’uomo si premette la mano sul petto. “Te lo giuro, non è un trucchetto di marketing! È l’ora perfetta per tè e dolcetto, o tè e tramezzino, o tè e biscotti.” Fece un gesto d’invito attraverso la porta aperta, indicando la vetrinetta interna, piena di dolciumi realizzati con creatività e dall’aspetto irresistibile. “Oppure tutte quante.”

“Basta accompagnarle con il tè?” disse Lacey con tono sarcastico.

“Esatto,” rispose lui, gli occhi verdi che si illuminavano in un guizzo di ironia. “Puoi anche provare prima di comprare.”

Lacey non poteva più resistere. Che fosse una sorta di dipendenza causatale dagli zuccheri che aveva in corpo o, più probabilmente, l’attrazione magnetica di questo meraviglioso esemplare di uomo, alla fine entrò.

Guardò deliziata, l’acquolina in bocca, mentre l’uomo prendeva dalla vetrinetta un panetto dolce pieno di burro, marmellata e crema, e lo tagliava con precisione in quattro parti. Eseguì l’intera operazione in maniera piuttosto teatrale, come se fosse una routine di danza. Posizionò i pezzetti su un piattino in ceramica e lo porse a Lacey, sostenendolo da sotto con le punte delle dita, completando la sua accurata e disinvolta performance con un allegro: “Et voilà.”

Lacey sentì il calore irrorarle le guance. L’esecuzione era stata piuttosto accattivante e provocatoria. O era solo una sua interessata impressione?

Allungò la mano e prese uno dei pezzetti dal piattino. L’uomo fece lo stesso, invitandola subito dopo a una sorta di brindisi con i pezzi di dolce.

“Alla salute,” disse.

“Alla salute,” rispose lei.

Si infilò il dolcetto in bocca. Fu un’esperienza di gusto. Crema densa e dolce. Marmellata di fragole così fresca da solleticarle le papille gustative. E l’impasto! Soffice e burroso, a metà tra dolce e saporito, e così gustoso!

I sapori improvvisamente le accesero un altro ricordo in mente. Lei e suo padre, Naomi e la mamma, tutti seduti attorno a un tavolino in metallo bianco in un baretto luminoso, intenti a rimpinzarsi di pastine ripiene di crema e marmellata. Subito fu pervasa da una sferzata di confortante nostalgia.

“Sono già stata qui!” esclamò prima di aver finito di masticare.

“Eh?” chiese l’uomo divertito.

Lacey annuì entusiasta. “Sono venuta a Wilfordshire da bambina. Questo è uno scone, vero?”

Le sopracciglia dell’uomo si inarcarono in sincera curiosità. “Sì, mio padre gestiva la pasticceria prima di me. Uso ancora la sua ricetta speciale per fare gli scone.”

Lacey guardò verso la finestra. Anche se ora lì c’era un seggiolino per bambini in legno con un cuscino blu sopra e un tavolo rustico abbinato, poteva ancora figurarsi con precisione come stavano le cose trent’anni prima. Improvvisamente si sentì trasportata in quel momento. Poteva quasi ricordare il venticello dietro al collo, e la sensazione appiccicosa della marmellata sulle dita, il sudore nei solchi dietro alle ginocchia… poteva addirittura ricordare il suono delle risate, delle risate dei suoi genitori, e i sorrisi spensierati sui loro volti. Erano stati così felici, o no? Era certa che dovevano essere state espressioni sincere. Allora perché tutto era andato a rotoli?

“Stai bene?” le chiese l’uomo.

Lacey ritornò al presente. “Sì. Scusa. Ero persa nei ricordi. Il sapore di questo dolcetto mi ha riportato a trent’anni fa.”

“Beh, ora dovrai fare la pausa delle undici,” disse l’uomo ridacchiando. “Posso tentarti?”

I brividi che si sentì scorrere sul corpo le diedero la distinta impressione che avrebbe potuto accettare qualsiasi cosa quest’uomo le avesse proposto con il suo accento gentile e quegli occhi cortesi e penetranti. Quindi annuì, trovando che la gola era diventata improvvisamente troppo secca per poter formulare effettivamente delle parole.

Lui batté le mani tra loro. “Eccellente! Lascia che ti faccia provare l’esperienza completa!” Fece per voltarsi e poi si fermò guardandosi alle spalle. “Comunque mi chiamo Tom.”

“Lacey,” rispose lei, sentendosi frastornata come una ragazzina con una cotta.

Mentre Tom era indaffarato in cucina, Lacey si sedette al tavolino vicino alla finestra. Cercò di evocare altri ricordi della volta che era stata lì prima, ma purtroppo non c’era altro da ricordare. Solo il sapore degli scone e la risata della sua famiglia.

Un momento dopo il bel Tom apparve con un vassoio da dolci pieno di tramezzini, scone e una selezione di dolcetti multicolore. PosГІ poi una teiera sul tavolo accanto.

“Non posso mangiare tutta quella roba!” gridò Lacey.

“È per due,” rispose Tom. “Offre la casa. Non è educato far pagare una donna al primo appuntamento.”

Prese poi posto proprio accanto a lei.

La sua schiettezza la colse di sorpresa. Sentì il battito cardiaco che iniziava ad accelerare. Era da così tanto tempo che non parlava con un altro uomo in modo così civettuolo. Si sentì ancora una volta come una ragazzina intontita. Impacciata. Ma magari era solo una cosa britannica. Magari tutti gli uomini inglesi si comportavano così.

“Primo appuntamento?” chiese.

Prima che Tom potesse rispondere, il campanello della porta tintinnГІ e un gruppo di circa dieci turisti giapponesi si riversГІ nel negozio. Tom scattГІ in piedi.

“Oh-oh, clienti.” Guardò Lacey. “Prenderemo un biglietto sostitutivo per quell’appuntamento, ok?”

Con la sua solita sicurezza disinvolta, Tom andГІ verso il bancone, lasciando Lacey con le parole incastrate in gola.

Con il negozio ora pieno zeppo di turisti, l’ambiente era diventato chiassoso e trafficato. Lacey tentò di tenere d’occhio Tom mentre si gustava la sua pausa delle undici, ma l’uomo era occupato con le ordinazioni per il gruppetto di clienti.

Quando ebbe finito, Lacey tentГІ di fargli un gesto di saluto, ma lui si era ritirato in cucina e non la vide.

Sentendosi un po’ delusa, e con la pancia estremamente piena, uscì allora dalla pasticceria e tornò in strada.

Poi si fermò, incuriosita da un negozio vuoto di fronte alla pasticceria, dall’altra parte della strada. Le suscitò una tale emozione dentro, che quasi le levò il fiato. Il negozio era stato qualcosa un tempo, qualcosa che i più profondi recessi della sua memoria infantile volevano assolutamente riportare alla mente. Qualcosa che le imponeva di guardare più da vicino.




CAPITOLO QUATTRO


Lacey sbirciò attraverso la vetrina del negozio vuoto, scandagliando la propria mente alla ricerca dei ricordi che le si erano risvegliati dentro, ma non vi trovò niente di concreto. Era più una sensazione che era stata risvegliata, qualcosa di più profondo di un sentimento di nostalgia, più vicino all’innamoramento.

Guardando dalla vetrina, Lacey poteva vedere che l’interno del locale era vuoto e privo di illuminazione. Il pavimento era ricoperto da tavole di legno chiaro. C’erano un sacco di scaffali nelle varie nicchie e un grosso tavolo di legno addossato a una parete. Il lampadario che pendeva dal soffitto era antico e in ottone. Costoso, pensò Lacey. Di sicuro devono averlo lasciato lì per sbaglio.

La porta del negozio, notГІ poi, non era chiusa a chiave. Lacey non potГ© trattenersi. EntrГІ.

Subito le arrivò al naso un odore metallico mescolato a polvere e muffa, e in pronta risposta Lacey sentì un’altra scossa di nostalgia. L’odore era lo stesso che aleggiava nel negozio di antiquariato di suo padre.

Lei aveva adorato quel posto. Da bambina aveva passato parecchio tempo in quel labirinto di tesori, giocando con le spaventose bambole di ceramica, leggendo ogni genere di fumetto da collezione per ragazzi, da Bunty a The Beano, a originali eccezionalmente rari e di valore dell’Orso Rupert. Ma la cosa che le piaceva di più fare era guardare i ciondoli e immaginare le vite e le personalità della gente a cui un tempo erano appartenuti. C’era una scorta infinita di piccole cianfrusaglie, oggettini e aggeggi vari, e ogni articolo aveva lo stesso strano odore di metallo-polvere-muffa che stava annusando adesso.

Proprio come la vista del Crag Cottage accanto all’oceano le aveva risvegliato quel vecchio sogno d’infanzia di vivere vicino al mare, anche adesso ritrovò il sopito desiderio che aveva nutrito da bambina di gestire un suo negozio.

Anche la disposizione dello spazio le ricordava il vecchio negozio di suo padre. Mentre si guardava attorno, immagini che provenivano dai più profondi recessi della sua memoria si sovrapposero a ciò che vedeva con i propri occhi, come un foglio di carta da lucido posato sopra a un disegno. Improvvisamente poté vedere gli scaffali pieni di bellissimi oggetti antichi – per lo più articoli da cucina in stile vittoriano, l’interesse principale di suo padre – e lì, sul bancone, l’ingombrante registro di cassa in ottone con i tasti rigidi che suo padre aveva insistito di voler usare, dato che “mantiene alta la concentrazione” e “affina le abilità nei calcoli a mente.” Sorrise sognante tra sé e sé mentre le parole di suo padre le risuonavano nelle orecchie e le immagini e i ricordi si dispiegavano davanti ai suoi occhi.

Lacey era talmente persa nel suo sogno a occhi aperti, che non sentì i passi che avanzavano verso di lei dalla stanza sul retro. E non notò neppure l’uomo a cui quei passi appartenevano e che appariva ora alla porta – il volto accigliato – avanzando di gran marcia verso di lei. Fu solo quando sentì un colpetto sulla spalla che si rese conto di non essere sola.

Il cuore le balzГІ in gola. LanciГІ un gridolino di sorpresa e quasi schizzГІ fuori dalla propria pelle, ruotando su se stessa e fissando in faccia lo sconosciuto. Anziano, i capelli radi e bianchi, borse gonfie e violacee sotto agli occhi azzurri.

“Posso aiutarla?” le chiese l’uomo con tono scontroso e poco amichevole.

Lacey si portГІ una mano al petto. Le ci volle qualche secondo per rendersi conto che il fantasma di suo padre non si era appena materializzato davanti a lei picchiettandole la spalla, e che lei non era piГ№ effettivamente la bambina che se ne stava nel suo vecchio negozio, ma una donna adulta in vacanza in Inghilterra. Una donna adulta che attualmente era entrata abusivamente in una proprietГ  privata.

“Oh, mio Dio, mi spiace tantissimo!” esclamò frettolosamente. “Non mi ero resa conto che qui ci fosse qualcuno. La porta era aperta.”

L’uomo le lanciò un’occhiataccia pregna di scetticismo. “Non ha potuto notare che il negozio è vuoto? Qua dentro non c’è niente da comprare.”

“Lo so,” continuò Lacey con esagerata animosità, disperatamente desiderosa di scagionarsi da ogni colpa e cancellare quel cipiglio di sospetto dal volto dell’uomo. “Ma non ho potuto trattenermi. Questo negozio mi ricordava un sacco quello di mio padre.” Con sua enorme sorpresa, si trovò improvvisamente con gli occhi traboccanti di lacrime. “Non lo vedo da quando ero bambina.”

L’atteggiamento dell’uomo mutò in un istante. Passò dal cipiglio e dalla difensiva a modi più gentili e morbidi.

“Su, su, su,” disse con cortesia, scuotendo la testa mentre Lacey si asciugava velocemente una lacrima. “Va tutto bene, mia cara. Tuo padre aveva un negozio come questo?”

Lacey si sentì improvvisamente imbarazzata per aver liberato le proprie emozioni di fronte a quest’uomo, per non parlare del senso di colpa vedendo che invece di chiamare la polizia per farla cacciare dalla sua proprietà privata, ora stava invece reagendo come un abile terapeuta, con una sorta di compassione priva di giudizio, incoraggiamento e interesse. Ma Lacey non poté trattenersi. Si aprì totalmente e riversò tutti i propri sentimenti.

“Vendeva articoli d’antiquariato,” spiegò, il sorriso che nuovamente le incurvava le labbra al pensiero di quei ricordi, anche se le lacrime le scendevano dagli angoli degli occhi. “L’odore qua dentro mi ha fatto provare una tale nostalgia, e tutto mi è tornato in mente. Il suo negozio aveva addirittura la stessa disposizione.” Indicò la stanza sul retro da cui l’uomo aveva fatto la sua comparsa. “Quella stanza veniva usata come magazzino, ma lui aveva sempre voluto trasformarla in una sala d’aste. Era molto lunga e si affacciava su un giardino.”

L’uomo si mise a ridacchiare. “Vieni a vedere. Anche questa stanza è lunga e dà su un giardino.”

Toccata dalla sua compassione, Lacey seguì l’uomo attraverso la porta entrando nella stanza. Era lunga e stretta, simile alla carrozza di un treno, e quasi identica alla sala dove suo padre aveva sognato di organizzare delle aste. Attraversando la stanza per lungo, Lacey arrivò a un giardino da fiaba. Era anch’esso stretto e lungo, e si dispiegava per circa venti metri. C’erano piante variopinte ovunque, e alberi piantati in posizioni strategiche, con grovigli di vegetazione che fornivano la giusta quantità di ombra. Una piccola siepe che arrivava all’altezza del ginocchio era tutto ciò che lo separava dal giardino del negozio adiacente, che diversamente dallo spazio immacolato nel quale ora si trovava, sembrava essere utilizzato solo come magazzino, con diversi orribili casotti di plastica grigia e una fila di bidoni dell’immondizia posizionati nel mezzo.

Lacey riportò la propria attenzione al bel giardino dell’antiquario.

“È incredibile!” disse sorpresa.

“Sì, è un posto bellissimo,” rispose l’uomo raddrizzando il vaso rovesciato di una pianta. “La gente che gestiva questo posto prima lo usava come negozio di articoli per casa e giardino.”

Lacey notò subito l’aria malinconica nella sua voce. Si rese allora conto che la grande serra di vetro che stava davanti a lei aveva le porte spalancate, e all’interno si vedevano vasi di piante sparpagliati qua e là in terra, i gambi spezzati, il terriccio riversato sul pavimento. Subito si sentì incuriosita. La vista di quelle piante abbandonate in un giardino così ben tenuto le parve strana. La sua mente passò immediatamente dai pensieri di suo padre al momento presente.

“Cos’è successo qui?” chiese.

L’espressione dell’anziano signore era ora completamente abbattuta. “È il motivo per cui sono qui. Ho ricevuto una chiamata dal vicino questa mattina, che mi ha detto che sembrava che durante la notte il posto fosse stato ripulito.”

Lacey sussultò. “Sono passati i ladri?” La sua mente faceva fatica ad abbinare il concetto di crimine alla bella e tranquilla località balneare di Wilfordshire. Le aveva sempre dato l’idea del tipo di posto dove la massima scorrettezza possibile potesse essere un ragazzino che rubava una torta appena sfornata dal poggiolo di una finestra, dove era stata messa a raffreddare.

L’uomo scosse la testa. “No, no, no. Se ne sono andati. Hanno fatto i bagagli e sono spariti. Non hanno neanche avvisato. Mi hanno lasciato anche i loro debiti. Bollette non pagate. Una montagna di fatture.” Scosse la testa tristemente.

Lacey era scioccata di apprendere che quel negozio era vuoto solo da quella mattina, e che lei si era intrufolata ignara all’interno di uno scenario in pieno svolgimento, inserendosi per caso all’interno di un racconto misterioso che era appena iniziato.

“Mi spiace moltissimo,” disse con sincera empatia per quel pover’uomo. Ora era il suo turno di fare la terapeuta, di ricambiare la gentilezza che l’uomo le aveva dimostrato prima. “Se la caverà?”

“Non proprio,” disse lui con tono mesto. “Dovremo vendere per sistemare i conti, e onestamente io e mia moglie siamo troppo vecchi per questo genere di stress.” Si diede un colpetto al petto, come a voler indicare la fragilità del proprio cuore. “Sarà un dannato peccato dire addio a questo posto.” La voce gli si spezzò. “Appartiene alla famiglia da anni. Lo adoro. Abbiamo avuto degli affittuari molto coloriti nel tempo.” Ridacchiò, gli occhi che si inumidivano mentre ricordava. “Ma no. Non possiamo più affrontare uno stress del genere. Sarebbe troppo.”

La tristezza della sua voce era tale da spezzarle il cuore. Che situazione orribile in cui trovarsi. Che brutta cosa. La profonda comprensione che provava per l’uomo era in perfetta combinazione con la sua situazione personale, con il modo in cui la vita che aveva costruito con David a New York le fosse stata ingiustamente strappata via. Provò un improvviso senso di responsabilità e il desiderio di risolvere il problema.

“Prendo in affitto il negozio,” disse senza neanche pensare, le parole che le uscivano dalla bocca prima che il cervello si accorgesse di cosa stava per dire.

Le sopracciglia bianche dell’uomo si inarcarono di scatto in evidente sorpresa. “Scusi, cos’ha appena detto?”

“Lo prendo in affitto,” ripeté Lacey rapidamente, prima che la parte logica della sua mente avesse la possibilità di inserirsi e dissuaderla. “Non può venderlo. Ha troppa storia, l’ha detto lei stesso. Troppo valore sentimentale. E io sono super affidabile. Ho esperienza. Più o meno.”

Pensò alla guardia aeroportuale con le sopracciglia marcate di nero: le aveva detto che c’era bisogno di un visto per lavorare, e lei le aveva assicurato con decisione che l’ultima cosa che aveva intenzione di fare in Inghilterra era lavorare.

E Naomi? E il suo lavoro con Saskia? Cosa ne sarebbe stato di tutto il resto?

All’improvviso niente di tutto ciò aveva importanza. Quella sensazione l’aveva conquistata quando aveva visto il negozio, come vero e proprio colpo di fulmine. E ora ci si stava buttando a capofitto.

“Allora, cosa ne pensa?” gli chiese.

L’uomo sembrava un po’ confuso. Lacey non lo poteva biasimare. Ecco qui questa strana donna americana vestita al risparmio che gli chiedeva di affittarle il suo negozio, quando lui aveva appena deciso di venderlo.

“Beh… io…” iniziò a dire. “Sarebbe bello poterlo tenere in famiglia un po’ di più. E adesso non è neanche il momento migliore per vendere, con la situazione attuale del mercato. Ma prima dovrò parlarne con mia moglie Martha.”

“Certo,” disse Lacey. Scribacchiò velocemente il proprio nome e numero di telefono su un pezzetto di carta e glielo porse, sorpresa della propria sicurezza. “Si prenda tutto il tempo che le serve.”

Aveva bisogno di tempo per sistemare le cose con il visto, dopotutto, ed escogitare un piano finanziario, e la gestione degli affari, e la fornitura, e, beh, tutto quanto. Magari avrebbe potuto cominciare comprando una copia di Come condurre un negozio – Per principianti impacciati.

“Lacey Doyle,” disse l’uomo, leggendo il foglietto di carta che gli aveva dato.

Lacey annuì. Due giorni fa quel nome le era suonato così poco familiare. Ora le sembrava di nuovo suo.

“Io sono Stephen,” le rispose.

Si strinsero la mano.

“Aspetterò ansiosa una sua chiamata,” gli disse Lacey.

Uscì dal negozio, il cuore gonfio di trepidazione. Se Stephen avesse deciso di affittarle il locale, lei sarebbe rimasta a Wilfordshire in modo molto più permanente di quanto avesse inizialmente programmato. Il pensiero avrebbe dovuto spaventarla. E invece la rendeva contenta. Le sembrava così giusto. Più che giusto. Le sembrava veramente un segno del destino.




CAPITOLO CINQUE


“Pensavo fosse una vacanza!” La voce furiosa di Naomi esplose attraverso il telefono che Lacey teneva tra l’orecchio e la spalla.

Sospirò, mentre seguiva con poca concentrazione la tirata di sua sorella e digitava qualcosa sulla tastiera del computer della biblioteca cittadina di Wilfordshire. Stava controllando lo stato della sua richiesta online per modificare il suo visto per vacanza in un permesso per avviare un’attività lavorativa.

Dopo il suo incontro con Stephen, Lacey si era lanciata in una ricerca e aveva appreso che, in quanto madrelingua inglese con un buon capitale in banca, l’unico altro requisito necessario era un piano d’affari decente, cosa in cui aveva un sacco di esperienza, grazie alla propensione di Saskia a scaricarle sulle spalle una marea di responsabilità, che andavano ben oltre il livello di stipendio che percepiva. Lacey aveva avuto bisogno soltanto di un paio di serate per compilare il piano e presentarlo: un processo molto semplice che le aveva dato la certezza che l’universo la stesse aiutando in questa sua vita del tutto nuova.

Quando la schermata si aprì sul portale ufficiale del governo britannico, Lacey vide che la sua domanda era ancora definita �in lavorazione’. Era così bramosa di procedere che non poté trattenere un piccolo sbuffo di delusione. Poi la sua concentrazione tornò sulla voce di Naomi che le gridava nell’orecchio.

“NON posso credere che ti trasferisci!” stava urlando sua sorella. “Per sempre, poi!”

“Non è per sempre,” spiegò Lacey con calma. Aveva fatto un sacco di pratica nel corso degli anni su come non irritarsi davanti alle sfuriate di Naomi. “Il visto è solo per due anni.”

Ops. Mossa sbagliata.

“DUE ANNI!?!” gridò Naomi, la rabbia che arrivava al culmine.

Lacey ruotò gli occhi al cielo. Era stata certa che la sua famiglia non avrebbe appoggiato la sua decisione. Del resto Naomi aveva bisogno di lei a New York per eventuale aiuto come baby-sitter, e sua madre la trattava fondamentalmente come un’animale da compagnia. Il messaggio allegro che aveva digitato nel gruppo delle Doyle Girls era stato accolto con la gratitudine di una bomba nucleare. A giorni di distanza, Lacey ne stava ancora gestendo le conseguenze.

“Sì, Naomi,” le rispose sconfortata. “Due anni. Penso di meritarmelo, non credi? Ho regalato quattordici anni a David. Quindici al mio lavoro. New York mi ha tenuta imprigionata per trentanove. Sto andando dritta verso i quaranta, Naomi! Voglio davvero finire con il passare tutta la mia vita nello stesso posto? Con una sola professione? Con un uomo e basta?”

Il bel viso di Tom le apparve nella mente mentre lo diceva, e subito si sentì arrossire. Era stata così impegnata a organizzare la sua potenziale nuova vita, che non era più tornata alla pasticceria, la sua idea di gustosa colazione sul patio temporaneamente sostituita da una banana in corsa e un frappuccino pre-confezionato al minimarket. In effetti le era appena venuto in mente che se questo affare con Stephen e Martha fosse andato in porto, avrebbe preso in affitto il negozio di fronte a Tom, e l’avrebbe quindi potuto vedere attraverso la vetrina ogni giorno. Sentì lo stomaco che le vibrava di emozione al pensiero.

“E Frankie?” piagnucolò Naomi, riportandola alla realtà.

“Gli ho mandato dei fudge per posta.”

“Ha bisogno di sua zia!”

“Ci sono sempre. Non sono morta, Naomi. Solo vivrò all’estero per un po’.”

Sua sorella riagganciГІ.

Da trentasei anni a sedici in un baleno, pensГІ Lacey sarcasticamente.

Mentre si infilava il cellulare in tasca, notò qualcosa che lampeggiava sullo schermo del computer. Lo stato della sua richiesta era passato da �in lavorazione’ ad �approvato’.

Con un gridolino Lacey saltГІ in piedi e tirГІ un pugno in aria. Tutti i presenti che stavano giocando al solitario agli altri computer della biblioteca si girarono a guardarla allarmati.

“Scusate,” esclamò Lacey, cercando di contenere la sua eccitazione.

Si rimise a sedere, ammutolita dallo stupore. Ce l’aveva fatta. Aveva ottenuto il via libera per mettere in moto il suo grandioso piano. Ed era stato tutto così facile, che Lacey aveva il sospetto che il destino ci avesse messo lo zampino…

C’era solo un ultimo piccolo ostacolo. Aveva bisogno che Stephen e Martha accettassero di affittarle il negozio.



*



Lacey si sentiva in ansia mentre girovagava per il centro cittadino. Non voleva allontanarsi troppo dal negozio, perché non appena avesse ricevuto la chiamata di Stephen, sarebbe andata direttamente lì con libretto degli assegni e penna per firmare quel dannato affare prima che la sua mente guastafeste le dicesse che non poteva farlo. Ma Lacey era una osservatrice di vetrine di eccezionale talento, e si mise al lavoro scrutando e analizzando ogni cosa la cittadina avesse da offrire. Mentre passeggiava, le sue scarpe a buon mercato comprate in aeroporto la fecero inciampare sui ciottoli e prendere una storta alla caviglia. Fu a quel punto che realizzò che doveva fare immediatamente quello che si era prefissata fin dall’inizio, se voleva che la prendessero sul serio in qualità di potenziale proprietaria di un’attività commerciale.

Si diresse verso il negozio di abbigliamento che si trovava accanto a quello vuoto che sperava diventasse presto suo.

SarГ  bene fare amicizia con i vicini, pensГІ tra sГ© e sГ©.

Entrò e scoprì ce si trattava di un posto dallo stile minimalista che offriva solo una manciata di articoli selezionati. La donna dietro al bancone sollevò lo sguardo sentendola entrare, squadrandola dalla testa ai piedi con atteggiamento distaccato. La donna era magra come un grissino e aveva un aspetto piuttosto rigido e severo, ma i suoi capelli castani e ondulati erano proprio come quelli di Lacey. Il vestito nero che indossava la faceva apparire come una sorta di versione malvagia di se stessa, pensò Lacey divertita.

“Posso aiutarla?” chiese la donna con voce sottile e stridula.

“No, grazie,” rispose Lacey. “So esattamente quello che voglio.”

Prese dallo stand porta-abiti un vestito in due pezzi del tipo che era solita indossare a New York, poi esitГІ. Voleva ricostruire una replica di se stessa? Vestirsi come la donna che era stata prima? O voleva diventare una persona nuova?

Si rigirò verso la commessa. “A dire il vero, potrei aver bisogno di un aiutino.”

Il volto della donna rimase impassibile mentre usciva da dietro il bancone e le si avvicinava. Evidentemente pensava che Lacey fosse una perditempo – cosa poteva permettersi in una boutique come quella una donna vestita così alla buona? – e Lacey non vedeva l’ora che arrivasse il momento in cui le avrebbe sventolato sotto al naso la sua carta di credito.

“Mi serve qualcosa per il lavoro,” disse. “Formale, ma non troppo rigido, capisce?”

La donna sbatté le palpebre. “E che lavoro sarebbe?”

“Antiquariato.”

“Antiquariato?”

Lacey annuì. “Già. Antiquariato.”

La donna selezionò alcuni articoli dallo stand. Era una mise alla moda, un po’ aggressiva, con un pizzico di androginia nel taglio. Lacey portò il completo nello spogliatoio e lo provò per controllare la taglia. Il riflesso che la accolse allo specchio le illuminò il viso con un ampio sorriso. Aveva un aspetto, poteva dirlo, davvero fico. La commessa, per quanto dura nei modi di fare, aveva un gusto impeccabile e un occhio impressionante per dare tono a una figura femminile.

Lacey uscì dal camerino. “È perfetto. Lo prendo. E altri quattro in diversi colori.”

La donna inarcò di scatto le sopracciglia. “Mi scusi?”

Il telefono di Lacey si mise a suonare. Lei guardГІ lo schermo e vide che era Stephen.

Il cuore le si gonfiГІ nel petto. Eccola! La chiamata che stava aspettando! La telefonata che avrebbe determinato il suo futuro!

“Lo prendo,” ripeté Lacey alla commessa, improvvisamente senza fiato per l’aspettativa. “E altri quattro nei colori che pensa mi starebbero bene.”

La commessa sembrava disorientata mentre andava nel retro, da quegli orribili capanni grigi che facevano da magazzino, pensГІ Lacey, per trovarle altri abiti.

Lacey intanto rispose al telefono. “Stephen?”

“Pronto, Lacey? Sono qui con Martha. Ti spiacerebbe tornare al negozio per fare una chiacchierata?”

Il tono della voce sembrava promettente, e Lacey non potГ© fare a meno di sorridere.

“Assolutamente. Sono lì tra cinque minuti.”

La commessa tornò con le braccia cariche di vestiti. Lacey notò l’impeccabile paletta di colori: carne, nero, blu navy e rosa cipria.

“Voleva provarli?”

Lacey scosse la testa. Ora aveva fretta e non vedeva l’ora di completare gli acquisti e correre dalla porta accanto. Continuava a controllare l’uscita alle sue spalle.

“No. Se sono uguali a questo, mi fido che lei abbia fatto la scelta giusta. Può confezionarli insieme, per favore?” Parlava rapidamente. La sua impazienza era letteralmente udibile. “Oh, e tengo anche quello che ho addosso.”

La commessa non parve per niente colpita dal modo in cui Lacey stava cercando di metterle fretta. Si prese il tempo per confezione con cura ogni abito, avvolgendolo in carta tessuto.

“Aspetti!” esclamò Lacey, mentre la donna tirava fuori una borsa di carta per mettervi dentro i vestiti. “Non posso andare in giro con un sacchetto del negozio. Avrò bisogno di una borsa. Una buona borsa.” I suoi occhi sfrecciarono sulla fila di borse che si trovavano sullo scaffale alle spalle della donna. “Può scegliermi quella che starebbe bene con questi vestiti?”

L'espressione della commessa lasciava intendere appieno la sua convinzione che davanti a lei ci fosse una donna impazzita. Ad ogni modo si voltГІ, considerГІ con cure le borse e poi ne tirГІ giГ№ una grande in pelle nera con una fibbia dorata.

“Perfetto,” disse Lacey, molleggiando sulle punte dei piedi come uno scattista che aspetta il segnale di partenza. “Mi faccia il conto.”

La donna obbedì alla richiesta e iniziò a riempire la borsa con i vestiti.

“Quindi in tutto sono…”

“SCARPE!” gridò Lacey all’improvviso, interrompendola. Che stordita. Erano state le sue orride enormi scarpe e portarla in quel negozio. “Mi servono delle scarpe!”

La commessa parve in qualche modo ancor meno impressionata. Magari pensava che Lacey la stesse prendendo in giro e che alla fine di tutto se ne sarebbe scappata via.

“Le nostre scarpe sono da quella parte,” disse con tono freddo, indicando con una mano.

Lacey guardГІ la piccola selezione di scarpe con i tacchi di ottima fattura dello stesso stile che avrebbe indossato a New York, dove era stata solita considerare le caviglie gonfie un rischio sul lavoro. Ma ricordГІ a se stessa che le cose erano diverse adesso. Non serviva che indossasse calzature dolorose.

L’occhio le cadde su un paio di scarpe nere basse in vernice. Sarebbero state benissimo con la qualità androgina dei suoi nuovi abiti. Lacey andò dritta a prenderle.

“Queste,” disse, lasciandole cadere sul bancone davanti alla commessa.

La donna non si preoccupГІ di chiedere a Lacey se voleva provarle, e le confezionГІ subito, tossicchiando mentre il prezzo a quattro cifre compariva sul display della cassa.

Lacey tirò fuori la sua carta, pagò e si infilò le scarpe nuove. Ringraziò la donna e saltellò fuori dal negozio, per infilarsi subito in quello vuoto adiacente. La speranza le gonfiava il petto al pensiero che nel giro di pochi momenti, una volta prese le chiavi da Stephen, diventando la nuova vicina dell’indifferente commessa di negozio, avrebbe fatto pieno ingresso nella sua nuova vita.

Quando entrГІ, Stephen parve non riconoscerla.

“Pensavo avessi detto che sembrava un po’ trasandata,” disse in un sussurro la donna accanto a lui, che doveva essere sua moglie Martha. Se stava tentando di essere discreta, stava miseramente fallendo. Lacey sentì ogni singola parola.

Indicò il suo nuovo outfit. “Ta-da. Le avevo detto che sapevo quello che stavo facendo,” disse con tono ironico.

Martha lanciò un’occhiata a Stephen. “Di cosa ti preoccupavi, vecchio sciocco? Questa è la risposta alle nostre preghiere! Falle subito il contratto di affitto!”

Lacey non ci poteva credere. Che fortuna. Il destino finalmente aveva completato il suo intervento.

Stephen tirГІ fuori frettolosamente alcuni documenti dalla sua borsa e li mise sul bancone davanti a lei. Diversamente dalle carte del divorzio che aveva fissato incredula in un momento di disincarnato dolore, questi fogli sembravano brillare di promessa, di opportunitГ . Lacey prese la sua penna, la stessa che aveva usato per firmare i documenti del divorzio, e appose la propria firma.

Lacey Doyle. Commerciante.

La sua nuova vita ora era sancita.




CAPITOLO SEI


Con una scopa in mano, Lacey spazzava il pavimento del negozio di cui ora era orgogliosa affittuaria, il cuore sul punto di esploderle per la contentezza.

Non si era mai sentita così prima d’ora. Era come avere il controllo di tutta la propria vita e del proprio destino, come se il suo futuro fosse ora a portata di mano. I pensieri galoppavano a velocità supersonica, mentre già formulava alcuni grossi progetti. Voleva trasformare la grande stanza sul retro in una sala d’aste, in onore del sogno che suo padre non aveva mai realizzato. Era stata a miriadi di aste lavorando per Saskia (a dire il vero dalla parte dell’acquirente e non del venditore), ma era sicura di poter imparare quello che c’era bisogno di fare. Non aveva mai gestito un negozio prima d’ora, eppure ora era qui. E oltretutto, non c’erano cose che non necessitassero di sforzo per essere conquistate.

Proprio in quel momento vide una figura che passeggiava davanti al negozio e si fermava di colpo, guardandola attraverso la vetrina. Lacey sollevГІ lo sguardo dal suo lavoro, sperando che si trattasse di Tom, ma si rese conto che la persona immobile davanti a lei era una donna. E non una donna a caso, ma una che Lacey conosceva bene. Magra come un grissino, vestito nero e gli stessi capelli lunghi e ondulati che aveva lei. Era la sua gemella cattiva: la commessa della porta accanto.

La donna entrГІ nel negozio a grandi passi varcando la porta aperta.

“Cosa ci fai qui?” le chiese.

Lacey appoggiò la scopa al bancone e con sicurezza porse la mano alla donna. “Mi chiamo Lacey Doyle. La tua nuova vicina.”

La donna fissò la mano con disgusto, come se fosse ricoperta di germi. “Cosa?”

“Sono la tua nuova vicina,” ripeté Lacey con lo stesso tono deciso. “Ho appena firmato l’affitto di questo posto.”

La donna reagì come se avesse appena ricevuto uno schiaffo in faccia. “Ma…” mormorò.

“La boutique è tua o ci lavori soltanto?” la incalzò Lacey, cercando di darle il tempo di riprendersi dal suo stupore.

La commessa annuì come in uno stato di ipnosi. “È mia. Mi chiamo Taryn. Taryn Maguire.” Poi all’improvviso scosse la testa come se avesse ripreso il controllo e si sforzò di rivolgerle un sorriso amichevole. “Bene, è magnifico avere una nuova vicina. È un posto bellissimo, no? Sono sicura che la mancanza di luce agirà in tuo favore, aiutandoti anche a nascondere la pessima condizione del posto.”

Lacey si impedì di inarcare le sopracciglia. Gli anni passati a gestire l’aggressività passiva di sua madre erano stati un buon allenamento.

Taryn rise a voce alta, come in un tentativo di smorzare l’equivoco complimento. “Beh, dimmi, come hai fatto a ottenere l’affitto di questo posto? L’ultima volta che ne ho sentito parlare, Stephen aveva deciso di vendere.”

Lacey scrollò le spalle. “È così. Ma c’è stato un cambio di programma.”

Taryn sembrava aver appena succhiato un limone. Lanciò lo sguardo velocemente in ogni angolo del negozio, il naso all’insù che Lacey aveva già avuto modo di conoscere sembrava essersi allungato ancora di più verso il cielo, mentre il disgusto della donna si faceva sempre più evidente.

“E venderai articoli di antiquariato?” chiese.

“Giusto. Mio padre era impegnato nel settore quando ero bambina, quindi sto seguendo i suoi passi in suo onore.”

“Antiquariato,” ripeté Taryn. I suoi occhi fissavano Lacey come quelli di un falco. “E hai il permesso per farlo, vero? Hai fatto il salto dell’oceano e sei già pronta ad aprire un negozio.”

“Con il giusto visto,” spiegò Lacey con disinvoltura.

“È… interessante,” rispose Taryn, chiaramente intenta a scegliere le parole con attenzione. “Cioè, quando uno straniero vuole un lavoro in questo Paese, la società deve fornire prove che non ci sia nessun britannico a ricoprire la posizione. Sono solo sorpresa che non si applichino le stesse regole anche alla conduzione di un’attività commerciale…”

Lo sdegno nella sua voce si stava facendo sempre più palese. “E Stephen ha fatto il contratto a te, una sconosciuta, così su due piedi? Dopo che il negozio si è svuotato… quand’è stato… solo due giorni fa?” La cortesia che si stava sforzando di assumere stava rapidamente svanendo.

Lacey decise di non lasciarsi toccare da quell’atteggiamento.

“In effetti è stato un colpo di fortuna. Stephen era casualmente in negozio quando sono entrata per dare un’occhiata. Era devastato per la fuga del precedente affittuario che l’ha lasciato con un sacco di debiti, e immagino che ci sia semplicemente stato il giusto allineamento cosmico. Io sto aiutando lui e lui sta aiutando me. Dev’essere destino.”

Lacey notГІ che il volto di Taryn era diventato rosso.

“DESTINO?” gridò la donna, mentre la sua aggressività passiva diventava del tutto esplicita. “DESTINO? Erano mesi che avevo un patto con Stephen, che se il negozio fosse diventato disponibile, lo avrebbe venduto a me! Dovevo allargare il mio locale acquisendo il suo!”

Lacey scrollò le spalle. “Beh, non l’ho comprato. Ce l’ho in affitto. Sono convinta che abbia ancora in mente il piano di venderlo a te quando arriverà il momento. Solo che quel momento non è adesso.”

“Non ci posso credere,” piagnucolò Taryn. “Entri qui e lo costringi a un altro affitto? E lui accetta e firma in soli due giorni? Lo hai minacciato? Hai fatto una specie di rito voodoo su di lui?”

Lacey non si lasciò scuotere. “Dovrai chiedere a lui il motivo per cui ha deciso di affittare a me piuttosto che vendere a te,” le disse, ma nella sua mente stava pensando: Magari perché sono una persona carina?

“Mi hai rubato il negozio,” concluse Taryn.

Poi se ne andГІ di gran carriera, sbattendosi la porta alle spalle, i lunghi capelli scuri che oscillavano sulla schiena mentre si allontanava.

Lacey si rese conto che la sua nuova vita non sarebbe stata idillica come aveva sperato. E che la sua battuta sul fatto che Taryn fosse la sua gemella malvagia combaciava effettivamente con la realtà. Beh, c’era una cosa che poteva fare.

Chiuse a chiave il negozio e percorse con passo baldanzoso la strada fino ad arrivare al salone della parrucchiera, dove entrò. La donna, una rossa, se ne stava seduta a sfogliare una rivista, evidentemente in pausa tra un cliente e l’altro.

“Posso aiutarti?” chiese a Lacey quando la vide entrare.

“È ora,” disse Lacey con determinazione. “Ora di darci un bel taglio.”

Era un altro sogno che non era mai stata abbastanza coraggiosa da realizzare. David aveva adorato i suoi capelli lunghi. Ma non aveva la minima intenzione di rimanere così somigliante alla sua gemella malvagia per un solo secondo ancora. Era giunto il momento. Il momento per un bel taglio. Il momento di eliminare tutto ciò che era stata la vecchia Lacey. Questa era la sua nuova vita, e lei aveva intenzione di seguire le proprie nuove regole.

“Sei sicura di voler accorciare?” chiese la donna. “Cioè, mi sembri determinata, ma devo chiedertelo. Non vorrei che te ne pentissi.”

“Oh, sono sicura,” disse Lacey. “Non appena l’avrò fatto, avrò realizzato tre dei miei sogni nello stesso numero di giorni.”

La donna sorrise e afferrò le forbici. “Allora va bene. E facciamola questa tripletta!”




CAPITOLO SETTE


“Ecco,” disse Ivan, strisciando fuori da sotto il lavandino della cucina. “Quella perdita non dovrebbe più darti grane.”

Si rialzГІ in piedi e tirando in modo impacciato il bordo della maglietta grigia stropicciata che indossava e che era risalita a scoprire la sua pancia candida e leggermente prominente. Lacey fece educatamente finta di non essersene accorta.

“Grazie per la velocissima riparazione,” gli disse, riconoscente nei confronti di questo padrone di casa così premuroso, che sistemava tutti i grattacapi che potevano sorgere nella casa in modo così immediato. E ce n’erano stati già un buon numero. Lacey iniziava a sentirsi anche un po’ in colpa per tutte le volte che l’aveva costretto a venire fino al Craig Cottage: quella salita fino alla cima della scogliera non era esattamente una passeggiata, e lui non era più un ragazzino.

“Vuoi fermarti a bere qualcosa?” gli chiese. “Del tè? Una birra?”

Sapeva già che la risposta sarebbe stata no. Ivan era timido e dava l’impressione che si sentisse sempre di troppo. Lei comunque chiedeva ogni volta.

Ivan ridacchiò. “No, no, va bene così, Lacey. Ho delle carte da sistemare stasera. Non v’è pace per gli empi, come dicono.”

“Dillo a me,” rispose lei. “Ero in negozio alle cinque questa mattia, e non sono tornata a casa prima delle otto di stasera.”

Ivan corrugò la fronte. “Il negozio?”

“Oh,” disse Lacey, sorpresa. “Pensavo di avertelo detto quella volta che sei passato a sturare le grondaie. Sto aprendo un negozio di antiquariato in paese. Ho preso in affitto il locale vuoto di Stephen e Martha, quello che prima era un negozio di articoli per casa e giardino.”

Ivan parve stupefatto. “Pensavo che fossi qui solo per una vacanza!”

“Era così. Ma poi ho deciso di rimanere. Non proprio in questa casa, ovviamente. Troverò un altro posto non appena ne avrai bisogno.”

“No, a me va benissimo,” disse Ivan con tono davvero felice. “Se sei contenta qui, sono contento pure io. Non dà troppo fastidio se sono spesso qui a sistemare le varie cose, vero?”

“A me piace,” rispose Lacey con un sorriso. “Altrimenti sarei un po’ sola.”

Quello era stato l’aspetto più difficile nel lasciare New York. Non era il posto, o l’appartamento, o le strade familiari, ma la gente che aveva dovuto abbandonare.

“Probabilmente dovrei prendere un cane,” aggiunse con una risatina.

“Mi pare di intendere che non hai ancora conosciuto la tua vicina?” disse Ivan. “Una signora adorabile. Eccentrica. Ha un cane, un Border Collie per gestire le pecore.”

“Ho conosciuto le pecore,” disse Lacey. “Continuano a venire in giardino.”

“Ah,” disse Ivan. “Deve esserci un buco nella recinzione. Vedrò di sistemare anche quello. Ad ogni modo, la signora è sempre a disposizione per un buon tè. O una birra.” Le fece l’occhiolino in un modo affettuoso che le ricordò suo padre.

“Davvero? Non la disturberà un’americana a caso che le capita davanti alla porta?”

“Gina? Per niente. Sarà felicissima. Vai a bussare alla sua porta. Ti assicuro che non te ne pentirai.”

Se ne andò, e Lacey fece proprio come le aveva suggerito, dirigendosi subito verso la casa della vicina. Anche se �vicina’ era una descrizione poco accurata. La casa era raggiungibile con una piccola passeggiata di cinque minuti a piedi lungo la scogliera.

Lacey raggiunse il cottage, simile al suo, ma con un solo piano, e bussò alla porta. Dall’interno sentì l’immediato scalpiccio di un cane che correva e la voce di una donna che gli diceva di non fare confusione. Poi la porta si aprì e apparve sulla soglia una signora con i capelli lunghi, ricci e grigi e i tratti del viso eccezionalmente fanciulleschi per una sessantenne. Aveva indosso un cardigan di lana color salmone e una gonna con motivo a fiori che arrivava fino a terra. Alle sue spalle un Border Collie bianco e nero cercava con insistenza di passare avanti.

“Boudicca,” disse la donna al cane. “Levati di mezzo.”

“Boudicca?” chiese Lacey. “Nome interessante per un cane.”

“Le ho dato il nome della vendicativa regina guerriera pagana che si è scatenata contro i romani e ha raso al suolo Londra dandole fuoco. Ma veniamo a noi: posso esserti utile, cara?”

Lacey provò subito simpatia per la donna. “Sono Lacey. Abito qui accanto e pensavo fosse opportuno presentarmi ora che la mia permanenza sarà in un certo senso permanente.”

“Qua accanto? Al Crag Cottage?”

“Proprio lì.”

La donna si illuminò. Spalancò la porta del tutto e allargò le braccia. “Oh!” esclamò in uno slancio di pura gioia, chiudendo Lacey in un abbraccio. Boudicca, il cane, impazzì e si mise a saltare loro attorno abbaiando. “Mi chiamo Georgina Vickers. George per la mia famiglia, Gina per gli amici.”

“E per i vicini?” chiese Lacey sorridendo, non appena la donna la liberò dal suo stretto abbraccio.

“Facciamo Gina.” La donna le afferrò la mano e gliela strinse. “Vieni dentro adesso! Entra! Entra! Metto su la teiera.”

Lacey non ebbe altra scelta che lasciarsi trascinare all’interno del cottage. E anche se al momento non se ne poteva rendere conto, “Metto su la teiera” sarebbe diventata una frase che avrebbe sentito davvero un sacco.

“Ma ci credi, Boo?” disse la donna mentre percorreva il corridoio dal tetto basso. “Finalmente abbiamo una vicina!”

Lacey la seguì ed entrambe sbucarono nella cucina. Era più o meno la metà della sua, con il pavimento rivestito di piastrelle rosso scuro e un’ampia isola centrale che occupava la maggior parte dello spazio. Da lato del lavandino una grande finestra si affacciava su un prato ricoperto di fiori, la vista dell’oceano a fare da sfondo subito dietro.

“Fa giardinaggio?” chiese Lacey.

“Sì. È il mio orgoglio e la mia gioia. Coltivo ogni genere di fiori ed erbe aromatiche. Come una dottoressa strega.” Ridacchiò della propria affermazione. “Vuoi provarne una?” le chiese, e indicò una fila di bottigliette di vetro color ambra ammassate su uno scaffale di legno sbilenco fatto a mano. “Ho cure per il mal di testa, per i crampi, il mal di denti, i reumatismi…”

“Uh… credo che mi accontenterò del tè,” rispose Lacey.

“Che tè sia!” esclamò l’eccentrica donna. Andò dall’altra parte della cucina e prese dalla credenza due tazze. “Di che tipo? English Breakfast? Assam? Earl Grey? Lady Gray?”

Lacey non aveva idea che ce ne fossero così tante tipologie. Si chiese cosa avesse bevuto da Tom durante il loro �appuntamento’. Quello era stato davvero delizioso. A ripensarci adesso, il ricordo le tornò alla mente.




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